Genova ricorderà il compleanno di Montale?

Ho sparso di becchime il davanzale

per il concerto di domani all’alba.

Ho spento il lume e ho atteso il sonno.

E sulla passerella già comincia

la sfilata dei morti grandi e piccoli

che ho conosciuto in vita. Arduo distinguere

tra chi vorrei e non vorrei che fosse

tornato tra noi. Là dove stanno

sembrano inalterabili per un di più

di sublimata corruzione. Abbiamo

fatto del nostro meglio per peggiorare il mondo.

 

Eugenio Montale, Quaderno di quattro anni

 

 

Questo editoriale cade il 12 ottobre, giorno di nascita di Eugenio Montale, poeta, vuole il caso, proprio genovese. Credo occorra sorvolare, a questo punto pare quasi d’obbligo, sulla superflua quanto desolante teoria della ripetizione, che, a cadenze non ancora precisate, scandisce il crollo inesorabile di un’Italia alla quale non basta più lo sventolio di proclami politici di finte avanguardie che, in realtà, non sono altro che vecchie retroguardie.

Immagino sia opportuno sorvolare sul fatto che la distruzione – che essa avvenga per volontà o per induzione, a causa di effetti da calamità, non fa nessuna differenza – sia l’unico marchio di fabbrica di un luogo che vuole predicarsi fabbricante a tutti i costi, quando, invece, il suo unico predicato dovrebbe essere la salvaguardia di quello che, per una ragione o per un’altra, cade a pezzi sotto i colpi di una manutenzione che distrugge l’utile ed erge l’inutile, quanto pericoloso, a speranza ultima delle economie. Non si pensi, vorrei raccomandarlo, all’economia dei millantatori da talk show, ma all’economia dell’uomo per l’uomo. Tutta un’altra cosa.

Penso sia necessario sorvolare su quando l’imbarazzo copre di ridicolo l’andamento tragico delle cose, allora vuol dire che pure quella sporca puttana della speranza se l’è svignata prima del tempo. Si può pure sfidarlo, disprezzarlo, il ridicolo, come l’Ecce Homo di Arturo Graf, ma La Rochefoucauld lo ha scritto più di tre secoli fa che il “ridicolo disonora più del disonore”. Un vantaggio di tre secoli e mezzo è sufficiente. Anche per la creazione del mondo il cattolicesimo ha voluto far credere che sia stato compiuto tutto in fretta, e figuriamoci, doveva finirci tutto dentro. Pure il ridicolo, ma rigorosamente separato dagli eventi funesti. Quando la natura si muove con rabbia, rievoca tutto, ma mai il ridicolo. L’uomo ne ha fatto un additivo.

Se tanti errori hanno creato le condizioni per un avvenire preoccupante e precario, l’imperizia, la mancanza di solerzia, la trascuratezza e tutto il campionario insopportabile di una classe dirigente che meriterebbe soltanto di essere trascinata nel fango (quello della vergogna, sia ben chiaro, non quello della tragedia) non fanno altro che addizionare il ridicolo a quanto accaduto e ancora accadrà. La storia di quell’uomo che durante l’alluvione del 2011 ha perduto la sua famiglia e in quella di questi giorni ha dovuto ancora spalare le strade è la linea di confine oltre la quale non è previsto il ritorno.

 

Sulla rena bagnata appaiono ideogrammi

a zampa di gallina. Guardo addietro

ma non vedo rifugi o asili di volatili.

Sarà passata un’anatra stanca, forse azzoppata.

Non saprei decrittare quel linguaggio

se anche fossi cinese. Basterà un soffio

di vento a scancellarlo. Non è vero

che la Natura sia muta. Parla a vanvera

e la sola speranza è che non si occupi

troppo di noi.

 

Eugenio Montale, Dopopioggia, da Quaderno di quattro anni

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!