Torino Film Festival: bilancio di metà percorso

Il Torino Film Festival conferma il suo stato di salute con una più che buona affluenza di pubblico: durante il primo weekend, che comprende i dati delle proiezioni tenutesi tra venerdì 18 novembre e la sera di domenica 20 novembre, l’incasso complessivo ha fatto registrare un incremento del 4% rispetto allo scorso anno. Il merito è sicuramente dell’offerta, ampia ed eterogenea, e della sempre impeccabile organizzazione. Certo, lo diciamo senza snobismi, per chi ha avuto il privilegio e l’opportunità di partecipare alle principali kermesse cinematografiche che hanno luogo ogni anno in giro per l’Europa (Berlino, Cannes, Locarno in primis) il programma, per quanto ricchissimo, rischia di risultare paradossalmente scarno e di regalare pochissimi guizzi, quasi nessuna sorpresa e persino qualche delusione.

In particolare la sezione competitiva “Torino 34” (che, lo ricordiamo, è riservata alla opere prime, seconde e terze) si è mostrata, sino a questo momento, inferiore a quella dell’anno scorso, eccezion fatta per il buon Lady Macbeth, opera seconda dell’inglese William Oldroyd, e il discreto Porto, esordio di finzione per il documentarista Gabe Klinger, protetto dall’angelo custode del grande Jim Jarmusch in veste di produttore esecutivo. Per quanto concerne le altre sezioni, da segnalare la nuova bellissima creatura di Clint EastwoodSully, il folle e geniale Antiporno di Sion Sono, tornato alla forma migliore dopo qualche passo falso, la delicata commedia francese Marie et les naufragés di Sébastien Betbeder (regista che meriterebbe maggiore attenzione e che qui è presente anche con un altro film, Le Voyage au Groenland), lo splendido Nyai – A Woman from Giava del maestro indonesiano Garin Nugroho che contende al raffinato e sofisticatissimo cortometraggio Sarah WinchesterOpera Fantôme di Bertrand Bonello la palma delle migliori visioni in assoluto passate sino a questo momento sotto i nostri occhi.

Grosse delusioni invece per il celebrato horror sudcoreano The Wailing, Fuori Concorso a Cannes, che è parso a chi scrive prolisso e arzigogolato, e per Daguerrotype di Kiyoshi Kurosawa, girato in Francia, un thriller metafisico nel quale, pur mantenendo il suo stile di messinscena e le sue atmosfere, l’ottimo regista giapponese non riesce questa volta a mantenere alta la tensione e cade in molte evitabili banalità, specie nella parte finale. Chi non era stato al Festival di Locarno ha potuto recuperare i due film vincitori rispettivamente del Pardo d’oro e del Premio per la regia: Godless, il discutibile esordio della bulgara Ralitza Petrova (vincitore anche del premio per la migliore interpretazione femminile), e O Ornitologo di João Pedro Rodrigues. Il primo film, in particolare, ruota intorno ad un’infermiera che accudisce anziani non autosufficienti e approfitta della situazione per derubarli: la storia di Gana (questo il nome della protagonista) è la metafora di una nazione corrotta, squallida e putrescente mentre il secondo è una visionaria allegoria mistico-religiosa che strizza l’occhio (talvolta bene, talvolta male) a Luis Buñuel.

Infine in ogni caso, per vincere lo sconforto, i cinefili più intransigenti possono sempre “buttarsi” su una delle due retrospettive in corso per vedere o rivedere classici più o meno noti come, tra gli altri, The Stepford Wives di Bryan Forbes, A.I. Artificial Intelligence di Steven Spielberg, Ikarie XB1 di Jindrich Polák (rassegna “Le cose che verranno”), o Jubilee di Derek Jarman e Sid and Nancy di Alex Cox per l’omaggio al punk dal titolo I Did It My Way.

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