“Neruda” di Pablo Larraín: il romanzo di un poeta
Non so quanto ho raccontato della mia vita corrisponde alla verità,
quanto sia invece frutto dell’invenzione e del sogno.
Pablo Neruda
Il film che abbiamo fatto è più un film “nerudiano”
che un film su Neruda; o forse è entrambe le cose.
Pablo Larraín
Cile, 1948. Gabriel González Videla è diventato Presidente della Repubblica grazie all’alleanza tra radicali, comunisti e democratici. Il grande poeta Pablo Neruda, a quel tempo senatore del Partito Comunista, accusa il neopresidente di essersi venduto agli americani: la Guerra Fredda è arrivata anche in Cile. Per quest’accusa, Neruda viene condannato agli arresti, e il Prefetto di Polizia Oscar Peluchonneau viene incaricato della sua cattura. Inizia a questo punto una caccia serrata in cui il poeta, sebbene braccato, ha modo di intavolare con il suo inseguitore una sorta di surreale gioco tra gatto e topo che fornisce all’autore di “Canto General” l’occasione per reinventare se stesso e alimentare il suo mito.
Neruda è il sesto film di Pablo Larraín, straordinario cineasta cileno che, sebbene abbia appena varcato la soglia dei quarant’anni (compiuti lo scorso 19 agosto), si conferma come uno dei più importanti e influenti cineasti del mondo. Con soli sette film all’attivo, Larraín è riuscito ad imporre il suo talento nei più importanti Festival internazionali facendosi portatore di una poetica originale e dirompente, che unisce la dimensione dissacrante ad un’anima e ad un discorso che sono fortemente e profondamente politici. Nell’affrontare il “poeta della dignità umana violata” (Sandro Pertini), uomo “più vicino al dolore che all’intelligenza, più vicino al sangue che all’inchiostro” (Federico Garcia Lorca), Larraín sceglie una strada originale ed impervia, percorrendo una traiettoria rischiosissima che mescola i toni e i generi, la Storia e l’invenzione, rimpolpando l’abusata formula del biopic tradizionale attraverso la messa in scena di un formidabile gioco di specchi.
Neruda, infatti è un falso biopic, e resteranno probabilmente delusi coloro che si aspettano un’opera che esalti le gesta del poeta rivoluzionario, del cantore degli ultimi, dell’autore di splendide poesie d’amore. Neruda, magistralmente interpretato da Luis Gnecco, viene ripreso, in un incipit formidabile, mentre urina maledicendo i suoi oppositori, oppure lo ritroviamo nei bordelli, in mezzo a tavolate ricolme di cibo e bevande, in preda a ubriacature dal vago sapore dionisiaco. Non si tratta, tuttavia, di lesa maestà: infatti, nel descrivere il suo rapporto con il segugio Peluchonmeau (il popolare attore messicano Gabriel Garcia Bernal, al suo secondo film con Larraín dopo No – I giorni dell’arcobaleno), il regista cileno ha modo di dimostrare tutta la genialità di Neruda, il quale sfida ripetutamente il suo inseguitore, trasformandolo da voce narrante, che sembra “fare il racconto”, in personaggio narrato, inventato dal poeta stesso, destinato a rinfocolare il suo mito piuttosto che a trasformarsi nella sua nemesi.
Nel mettere in scena l’irridente rapporto tra cacciatore e preda, uno scontro che a qualcuno ha giustamente fatto venire in mente il mirabile Nemico pubblico di Michael Mann (dove qualcosa di simile avveniva tra il bandito Dillinger/Johnny Depp e l’agente dell’FBI Melvin Purvis/Christian Bale), Larraín compie un intelligentissimo lavoro di commistione che, usando il biopic come esca, gli consente di compiere una straordinaria immersione nei generi cinematografici, una cavalcata dove la commedia si tinge di grottesco, la spy-story può convivere con il road-movie e addirittura con il western, e dove la Storia viene ridotta a pretesto per scandagliare il rapporto tra autore e personaggio, tra creatore e creatura. Infatti, in un geniale gioco di rovesciamenti, l’inseguitore finisce per ritrovarsi inseguito, il narratore diventa consapevole di essere solo la pedina di un gioco narrato da altri, nient’altro che il personaggio di un romanzo che può trovare la sua ragione di esistere soltanto facendosi infliggere la morte, e quindi l’immortalità.
Neruda è dunque, come dice il suo autore, “un’indagine selvaggiamente immaginaria”. Semplicemente, uno dei film più importanti degli ultimi anni. Capolavoro.
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