Venezia 73: la Mostra si inchina al genio di Lav Diaz

Nessuno parli di consacrazione. Lav Diaz, straordinario cineasta filippino, vince con pieno merito il Leone d’oro della 73° Mostra d’arte cinematografica di Venezia bissando il successo ottenuto a Berlino lo scorso febbraio dove il suo A Lullaby to the Sorrowful Mystery si era aggiudicato il Premio Alfred Bauer. Nessuno parli di consacrazione perché Lav Diaz gira film da quasi vent’anni e il suo splendido The Woman Who Left, che ha trionfato qui al Lido (del quale vi abbiamo parlato qualche giorno fa), è il suo diciassettesimo lungometraggio di finzione, cui vanno aggiunti alcuni documentari e diversi cortometraggi (sì, Lav Diaz non è solo il regista di opere fluviali). La speranza è che la probabile distribuzione in sala di The Woman Who Left possa essere l’occasione perché anche il pubblico che non frequenta i festival e non vede “Fuori Orario”, la famosa trasmissione notturna ideata dal grande Enrico Ghezzi che trasmette i suoi film con una certa frequenza, possa apprezzare il talento e la bravura di un regista che richiede tanta concentrazione ma che sa ricompensare lo spettatore più motivato con immagini di grande bellezza ed opere di grande respiro e generosità.

Lav Diaz ha girato molti film di lunghezza smisurata ma, è bene ricordarlo, non vuole porsi deliberatamente come cineasta elitario: al contrario, il suo è un cinema popolare che mette spesso (anche nel film premiato oggi) al centro della narrazione le classi cosiddette subalterne. Per questa ragione, il Leone d’oro a The Woman Who Left premia un cinema tecnicamente pregevole e di grande raffinatezza stilistica ma che ha a che fare con temi e personaggi in cui è possibile rispecchiarsi. Questa 73° edizione della Mostra d’arte cinematografica più antica del mondo sarà dunque ricordata (si spera) per aver contribuito a chiarire questo equivoco. Se il massimo premio conferito dalla giuria presieduta da Sam Mendes resta probabilmente indiscutibile, lo stesso non si può dire per il resto del palmarès. Il Gran Premio della Giuria a Nocturnal Animals (di cui abbiamo parlato qui), opera seconda dell’ex-stilista statunitense Tom Ford, premia un film molto sofisticato e accuratissimo nella messa in scena ma viziato da una sceneggiatura non sempre all’altezza che rischia di trasformare il film in una sorta di guscio vuoto.

Il Leone d’argento è stato assegnato ex-aequo al solido film sull’Olocausto Paradise di Andrej Končalovskij (che si aggiudicò il medesimo riconoscimento due anni fa con il bellissimo Le notti bianche del postino, mai distribuito) e al messicano La region salvaje di Amat Escalante, film pretenzioso e confuso, tra i peggiori del Concorso e la cui vittoria può essere spiegata solo ricercando le ragioni al di fuori della sfera estetica. Grida vendetta anche il Premio Speciale della Giuria assegnato a The Bad Batch di Ana Lily Amirpour, un altro premio ad un cineasta statunitense, opera distopica che non riesce a raggiungere nessuno degli ambiziosi obiettivi che si prefigge e che ha non poche cadute nel ridicolo involontario. Molto di più meritava, invece, lo splendido Jackie, trasferta americana per il talentuoso regista cileno Pablo Larraín, altra opera straordinaria, l’unica insieme a La La Land di Damien Chazelle in grado di competere con il vincitore, e che si è dovuto accontentare del Premio per la migliore sceneggiatura.

Proprio il film di Chazelle ha fatto vincere la Coppa Volpi ad una deliziosa Emma Stone, ormai definitivamente lanciata nell’olimpo delle star, mentre il premio al miglior attore è stato vinto meritatamente dall’insuperabile Oscar Martinez, interprete de El Ciudadano Ilustre di Mariano Cohn e Gastón Duprat, dove Martinez veste i panni di uno scrittore Premio Nobel che decide di tornare al suo paese natio. D’altronde, a differenza del comparto femminile, quello maschile vantava poche interpretazioni degne di nota. Piace ricordare, a questo riguardo, anche il Premio Mastroianni come attore/attrice emergente, vinto da Paula Beer per Frantz, uno dei film migliori del francese François Ozon. Per quanto concerne l’Italia, i tre film in Concorso sono rimasti a bocca asciutta: purtroppo Spira Mirabilis di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti si è rivelata un’opera troppo ambiziosa per poter mettere d’accordo una Giuria molto composita mentre Piuma di Roan Johnson e Questi giorni di Giuseppe Piccioni si sono rivelate opere troppo fragili, il cui inserimento nella competizione principale è apparsa a dir poco generosa.

Per il nostro Paese resta la consolazione della vittoria di Liberami di Federica Di Giacomo, documentario sull’esorcismo che ha vinto la sezione “Orizzonti” sbaragliando la concorrenza di avversari ben più quotati, tra cui il grande documentarista cinese Wang Bing, che si è aggiudicato un incredibile premio per la sceneggiatura per il suo Ku Qian, ad ennesima dimostrazione dell’arbitrarietà dei riconoscimenti assegnati durante i Festival.

RIPRODUZIONE RISERVATA – Ne è consentita esclusivamente una riproduzione parziale con citazione della fonte, Milena Edizioni o www.rivistamilena.it

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

error: Content is protected !!