“L’ora di religione” di Marco Bellocchio: di mamma ce n’è una di troppo

Innamorarmi di una persona, di una donna:
ecco, questa sarebbe la più grande professione di ateismo
che io potrei fare.
Da L’ora di religione di Marco Bellocchio

In Italia comandano i morti.
da Il regista di matrimoni di Marco Bellocchio

L’ultimo lavoro di Marco Bellocchio, applaudito film d’apertura della “Quinzaine des Réalisateurs” al Festival di Cannes, si intitola Fai bei sogni ed è tratto da un libro autobiografico del giornalista Massimo Gramellini, cui presta il volto Valerio Mastandrea. È la storia del rapporto tra un bambino e sua madre, sconvolto dall’improvvisa morte di lei, avvenuta la notte di Capodanno e del quale il piccolo ignorerà le vere cause per molti anni, addirittura sino all’età adulta, quando è ormai diventato un giornalista affermato. Mi guardo bene dal rivelare troppe cose della trama di questo film per non guastare il piacere della maggior parte degli spettatori che, immagino, correranno a vederlo alla sua uscita nelle sale, prevista per il prossimo autunno. Se l’ho ricordato, è solo perché esso segna un’ulteriore tappa del viaggio di Marco Bellocchio intorno all’universo della madre, al disegno del rapporto/conflitto madre-figlio del quale è forse l’episodio più (finalmente) pacificato. Fai bei sogni sembra infatti la conclusione di un percorso che ha dato vita, nella filmografia bellocchiana, ad una tetralogia che ha al centro la figura materna che include anche I pugni in tasca (1965), Gli occhi, la bocca (1982) e, appunto, L’ora di religione, opera bellissima e di rara intensità emotiva, oggetto di questo contributo. A questi titoli si potrebbe aggiungere, inoltre, Il gabbiano (1977), il film per la televisione diretto da Bellocchio nel 1977.

Risultati immagini per i pugni in tasca foto fotoI pugni in tasca, uno degli esordi in assoluto più potenti del cinema italiano, era solo la punta dell’iceberg di una ribellione messa in atto (e in immagini) dal regista piacentino contro i cardini dell’ordine costituito, una ribellione che, dopo aver fatto a pezzi la famiglia borghese, avrebbe scagliato violentemente tutto il suo malessere contro la scuola (Nel nome del padre), il giornalismo asservito (Sbatti il mostro in prima pagina), la psichiatria (Matti da slegare ma anche La visione del sabba), l’esercito (Marcia trionfale), la Chiesa (L’ora di religione ma anche il recente e sottovalutato Sangue del mio sangue). Ne I pugni in tasca la madre viene uccisa dal nevrotico Alessandro che la getta in un burrone e ne profana poi la memoria ridendo al suo funerale e mettendo i piedi nella bara dove giace. Alla donna, significativamente cieca, e al suo perbenismo vengono attribuite dal nevrotico Ale tutte le responsabilità del malessere covato dal suo animo e che è rappresentato icasticamente dall’epilessia di cui soffre il personaggio.

Gli occhi, la bocca racconta invece il ritorno a casa di Giovanni Pallidissimi, un attore di scarso successo, a seguito del suicidio del fratello gemello Pippo. Questa pellicola ripropone il medesimo conflitto de I pugni in tasca e ne è la quasi esplicita continuazione. Non a caso l’attore che interpreta il protagonista è lo stesso, Lou Castel che, in una scena del film più metacinematografico di Bellocchio, va al cinema a vedere se stesso che interpreta I pugni in tasca nella scena del matricidio. Questa volta il conflitto con la madre, interpretata da Emmanuelle Riva, trova nel finale una parziale ricomposizione, grazie anche all’incontro e alla relazione che Giovanni intraprende con Wanda, la compagna del fratello suicida.

Se nel film d’esordio la madre, come detto, era cieca eppure esercitava il potere di esasperare la fragile mente di Ale, ne L’ora di religione essa è addirittura una morta, uccisa da uno dei figli, disabile mentale, che la donna stava rimproverando mentre bestemmiava. In virtù di questa circostanza, la Chiesa ha deciso di avviare il processo di beatificazione e contatta uno dei figli, il pittore Ernesto Picciafuoco (Sergio Castellitto in una prova di grande bravura), per conoscere il suo parere. Dunque, la madre uccisa ritorna, risale il burrone dove era stata sospinta, e diventa ora quasi una perfetta rappresentazione del buio della coscienza. La (non) morta impone la sua presenza che Ernesto ammette subito di non gradire mostrandosi sprezzante davanti ad uno dei primi ecclesiastici che lo informano della causa in atto: “Mia madre era una donna stupida. Lo dico senza cattiveria. Era stupida, semplicemente.”.

Risultati immagini per l'ora di religione bellocchio fotoDa quel momento in poi, l’ingombrante e indesiderata presenza del passato diventa per Ernesto un modo per interrogare se stesso, per iniziare un percorso in cui laicismo e spiritualità, pur correndo percorsi paralleli, sembrano talvolta incontrarsi, mescolarsi, scambiarsi di posto ma solo per brevi istanti: Ernesto incontra e s’innamora di Diana, l’insegnante di religione di suo figlio, salvo poi scoprire che si tratta in realtà di un’altra persona, una presenza misteriosa, probabile frutto della fantasia del pittore. Allo stesso modo, la moglie di Ernesto somministra al figlio una sorta di battesimo mentre questi è a letto. Per non parlare dell’indimenticabile sequenza dell’incontro con il fratello malato, dove la bestemmia urlata da quest’ultimo coincide con il momento di massima intensità del film e forse dell’intero cinema di Bellocchio.

Nell’abbraccio tra i due fratelli Ernesto riconosce in Egidio il capro espiatorio, l’esecutore materiale di un delitto che egli stesso avrebbe potuto commettere. Se I pugni in tasca è il film della moralità e della coscienza perdute, la bellezza e la forza de L’ora di religione stanno proprio nella sincerità con cui il protagonista cerca di risalire il burrone dove si trova la madre per provare a “usare” la sua scomparsa per riannodare, dove possibile, i rapporti familiari. In questo senso, la gigantografia della donna in odore di santità si pone come perfetta sintesi della sua presenza che viene direttamente dal regno dei morti per porsi come presa in carico e superamento di una crisi.

L’ora di religione è così un film di presenze quasi fantasmatiche che irrompono improvvisamente nella vita di Ernesto. Una delle letture possibili di quest’opera complessa e stratificata sta nell’ambiguità di tutte queste figure incontrate dal pittore sul suo cammino (in primis, ovviamente, la “falsa” insegnante di religione): esse sono realissime e evanescenti, allo stesso tempo concrete e immaginarie, presenze ingombranti ma in fondo anche desiderate, incontri e parti della mente del protagonista. D’altra parte, in una sequenza di grande tenerezza il figlio di Ernesto chieda a suo padre come sia possibile che Dio sia dappertutto nello stesso momento e che sia capace di osservare ogni azione. A questa domanda l’uomo sa contrapporre solo il suo scetticismo, la sua mancanza di fede, la sua inguaribile incredulità.  Forse la risposta potrebbe essere di diversa se alla parola “dio” si sostituisse ciascuna coscienza umana.


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