Sarajevo Supermarket e Napoli: un’esperienza del “contemporaneo” nel cuore del rione Sanità

sarajevo supermaket, nel cuore di Napoli

in via Matteo Ripa 7, nel rione Sanità

a un minuto dall’ascensore che collega via Santa Teresa degli Scalzi con la Sanità

a dieci minuti da piazza Cavour e dalle due linee della metro

a pochi metri dal garage sito in via San Severo a Capodimonte”

Sarajevo Supermarket affonda le sue origini nel 1995. Annata dentro drammatiche e tragiche tristezze di un’Europa in una fase, in quegli anni, di tormentata e violenta rielaborazione.

Giovanni Franco, ideatore e promotore di quelle origini, concepisce Sarajevo Supermarket come un contenitore artistico, una sorta di circuito virtuoso creativo, fondato per intendere uno spazio in cui consentire a chiunque avesse idee artistiche di poterle realizzare sotto il nome di un unico ‘cartello’. Qualcosa che potesse trasformarsi nel tempo in un marchio d’autore supportato da tante voci e da tante esperienze. Una polifonia di toni distinti.

Nel 1996 Giovanni Franco lavora a un’intensa attività di ‘arteterapeuta’. Sui metodi di Franco vengono svolte tesi di laurea, soprattutto all’estero, dove il suo lavoro registra maggiore e consenso e più sensibile attenzione. Successivamente prosegue la sua esperienza sotto diversi pseudonimi, fino al 2010, quando decide di lasciare l’arte terapeutica. Una volta riprese le attività che lo avevano impegnato ai “primordi” di Sarajevo Supermarket, Giovanni Franco decide di farlo seguendo una linea più vicina alla multidisciplinarità, attraverso la musica, la scrittura e altre forme espressive, ma sempre tramite la grammatica del cosiddetto contemporaneo, un genere troppo spesso mal tradotto, come lo stesso Franco tiene a precisare.

Inaugurato il nuovo spazio Sarajevo Supermarket, che è anche laboratorio filosofico (in virtù della tensione che mette in dialogo le attività creative e la filosofia), grazie anche al lavoro di Sabrina Cardone (autrice del testo sarajevo supermarket AZ control. Istruzioni d’uso ed effetti collaterali, “complemento non conseguenziale, arbitraria e parallela associazione di nuclei concettuali su sarajevo supermarket”), le attività del nuovo progetto si aprono con una serie di installazioni intitolata Appunti di un nuovo manifesto, con un testo critico scritto da Annapaola Di Maio, con un abecedario, a cura di Sabrina, sullo stesso Sarajevo Supermarket, in cui a ogni lettera corrisponde un principio, un input, in un insieme-simbolo proprio di quel percorso dal tracciato che conosce soltanto la sua origine.

Il 22 dicembre del 2016 Sarajevo Supermarket trova quella che è la condizione attuale, riaprendosi in un nuovo spazio, situato nel quartiere Sanità, a Napoli. Il manifesto citato si presenta come volutamente incompleto, proprio per rappresentare l’idea di un work in progress, di un’incompiutezza che sia in realtà ragione di tensione creativa in costante cura di sé.

“Il presente testo non è una nota critica e nemmeno «una teoria artistica [che] funzionerà come pubblicità per un prodotto artistico nello stesso modo in cui un prodotto artistico funzionerà come pubblicità per l’ordine sotto cui è nato» (M. Broodthaers). Sarajevo Supermarket non è l’ennesimo supermercato dell’arte, ma il campo di battaglia della stessa, guerriglia continua contro il “grado xerox della cultura” (J. Baudrillard); è “virus”, è “collante”, è “fluidificante”, è “la via sbagliata”, è il rovesciamento della banalità dell’arte come merce.” Annapaola Di Maio, Appunti per un nuovo manifesto

Lo spazio attuale, infatti, presenta caratteristiche emblematiche anche dal punto di vista architettonico, con le sua struttura spiraliforme (la spirale richiama la semantica del testo scritto da Annapaola), labirintica, quasi tortuosa. Come si legge nel testo del manifesto: “Svolgimento aperto come il carattere sequenziale della spirale, naturale dispiegarsi del caos generativo di connessioni, dove a regnare è la perturbante figura dell’uomo Acefalo. Sovrapponendo diversi codici linguistici, giochi di parole, sovvertimenti e straniamenti verbali, gli Appunti saranno dislocati attraverso l’andamento spiraliforme dello spazio”. Dai locali di Sarajevo Supermarket è possibile osservare anche la celebre chiesa di San Vincenzo alla Sanità, luogo simbolo di uno tra i quartieri più suggestivi della città di Napoli.

Perché Sarajevo Supermarket?

Nel 1995 Sarajevo era un nome molto presente. Nell’immaginario collettivo rievocava la guerra e la distruzione. La guerra nell’ex Jugoslavia è stata caratterizzata da frequenti violazioni, di tutti i tipi. Nessun luogo è stato risparmiato dai bombardamenti. Persino i mercati e le biblioteche sono stati colpiti. Sarajevo Supermarket è un doppio nome che rappresenta una contraddizione. La distruzione e la guerra da un parte e uno dei simboli del capitalismo e della civiltà di consumo dall’altra. Con una conseguente critica alla società dello spettacolo, della spettacolarizzazione a ogni costo. Un’idea che è la realizzazione di uno dei nostri segni principali. Il doppio e l’opposto, come il bianco e il nero, evidente nel nostro logo, o come il codice binario.

Quali sono i mezzi per sostenere le vostre attività?

Vorremmo evitare di aderire a quella che è un’idea mercantile dell’arte. Il nostro spazio è sostenuto dal basso. Stiamo cercando di fare anche autoproduzione, ospitando artisti e dando voce ad altre esperienze creative. Inoltre, abbiamo avviato una campagna di crowdfunding per rintracciare nuove risorse. Sarajevo è il primo spazio di concezione contemporanea dell’arte all’interno del quartiere Sanità. Ci sono sì altre esperienze simili, ma nel cuore della Sanità un’esperienza come la nostra non si era ancora verificata.

Quale tipo di reazione avete percepito dal rione?

Noi siamo stati cauti sin dall’inizio. La Sanità è un luogo molto affascinante, che conserva qualcosa di antico, che non vuole essere assorbito da questa modernità spicciola. Qui le persone sono molto accoglienti. Ricordano una Napoli che altrove non trovi più. Il dato identitario è molto forte. La Sanità è come una grande comunità ed è desiderosa di restare tale, ma mostra anche una grande curiosità al nuovo, anche come forma di riscatto. Della Sanità si parla per le stesse ragioni per cui si dovrebbe parlare anche di altri luoghi. Se in certi posti si spara, tutti i giornali e le televisioni ne vogliono parlare. Se invece si svolgono attività importanti e avvengono altre cose, allora non se ne parla più. E così un luogo agli occhi di chi non lo conosce troppo spesso resta impresso solo per una ragione.

Se Sarajevo Supermarket, grazie al lavoro di Giovanni Franco, di Sabrina Cardone e delle persone vicine a un genere di traduzione delle sensibilità che resta, in parte, ancora indecifrabile, qualcos’altro ne testimonia il valore altrettanto degno di attenzione e di apprezzamento. Non sfugga il pregio e l’acume della lettura di un’epoca. Gli stessi dadaisti hanno considerato la loro corrente come un fenomeno scoppiato nel bel mezzo della crisi economica e morale del dopoguerra. Il dadaismo come un “salvatore, un mostro che avrebbe sparso spazzatura sul suo cammino. Un sistematico lavoro di distruzione e demoralizzazione. che alla fine non è diventato che un atto sacrilego”. Quello che con altre intenzioni il mondo negli anni più recenti ha fatto con se stesso. Sarajavo Supermarket è una formula che al riguardo contiene non pochi significati.

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