Cannes 2016: standing ovation per Sonia Braga, protagonista di “Aquarius”

Vetrina del cinema mondiale, soprattutto d’autore, su cui sono puntati i riflettori di tutto il mondo, il Festival di Cannes è sempre stato all’occasione anche il luogo dove, approfittando della visibilità, è possibile portare le istanze politiche, sociali e culturali più disparate gettando una finestra su questioni che sono taciute, se non addirittura distorte, dai media ufficiali. Per questa ragione, alla proiezione stampa al Grand Théâtre Lumière, in cui era in programma, in Concorso il brasiliano Aquarius, la delegazione del film, capitanata dal regista Kléber Mendonça Filho, ha sfilato sul Red Carpet mostrando alcuni cartelli ed uno striscione per denunciare al mondo il tentativo, tuttora in atto, di colpo di Stato in Brasile con l’impeachment ai danni della Presidente democraticamente eletta Wilma Roussef. La protesta è poi continuata in sala prima della proiezione, applauditissima, del film.

L’argomento della bellissima opera seconda di Mendonça Filho era comunque differente rispetto ai motivi della protesta. Aquarius ruota infatti attorno a Clara, un’anziana donna che rifiuta di vendere il proprio appartamento ad una società che ha acquistato un intero stabile per mettere in atto un progetto edilizio che consiste nella costruzione di un moderno complesso turistico denominato, appunto, Aquarius. Ma il film, oltre all’importanza di resistere, mette al centro anche quella della memoria e dei legami familiari ed ha in una bravissima Sonia Braga (a questo punto tra le favorite per la Palma d’oro in una competizione comunque assai agguerrita) l’acqua della vita, una presenza carismatica, coinvolgente che, sin dalla sua prima splendida apparizione in scena, catalizza l’attenzione dello spettatore. L’attrice brasiliana disegna mirabilmente questo ritratto di donna coraggiosa e determinata, che trabocca di fierezza e di forza d’animo, nonostante una grave malattia che in gioventù l’ha privata di un seno.

Risultati immagini per foto la fille inconnue dardenneInoltre, dopo il discreto Ma’ Rosa di Brillante Ma’ Mendoza, altro trascurabile film in Concorso ambientato nelle Filippine più povere e corrotte, stamattina è sbarcato sulla Croisette La Fille Inconnue, la nuova opera di Jean-Pierre e Luc Dardenne. Il film è imperniato sulla dottoressa Jenny che, durante il suo turno di lavoro, non apre il cancello dello studio medico ad una giovanissima ragazza di colore, che viene poco dopo ritrovata morta. Sebbene ignorasse l’identità della persona che aveva citofonato, Jenny è preda di un forte senso di colpa e, come forma di risarcimento, tenterà per tutto il film di dare un nome ed un’identità alla ragazza, che non aveva documenti con sé. Accolto con applausi rispettosi ma senza entusiasmo, La Fille Inconnue è, ad avviso di chi scrive, una grande metafora sul dramma dei migranti: c’è infatti qualcuno che scappa, che cerca asilo per evitare la morte ma trova una porta sbarrata e le viene rifiutato l’ingresso.

Nel suo tentativo di dare un nome alla ragazza, Jenny s’imbatte in una serie di personaggi, un po’ indifferenti, un po’ indecisi, un po’ sfruttatori, tutti afflitti da qualche malattia (non a caso il protagonista è un medico), simbolo perfetto di una società, e di un intero continente, sempre più in disfacimento. Pur con qualche sbavatura soprattutto nel finale, si tratta di un’opera riuscita, sebbene inferiore alle punte più alte raggiunte in passato dal cinema dei bravissimi cineasti belgi.

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