“Twin Peaks” episodi 1-4: bentornati a casa

Erano anni che se ne parlava, al punto che molti ormai si erano rassegnati all’idea che fosse l’ennesima diceria: “David Lynch sta girando la terza serie di Twin Peaks”, “Ma no, non è vero: Lynch ormai si è ritirato”. Qualcuno, forse con cognizione di causa, si chiedeva cosa potesse ormai realizzare un uomo che aveva partorito una “roba” sublime e geniale come Inland Empire, splendido e visionario labirinto onirico, a torto accusato di illogicità ed astruseria, oppure che altro fosse lecito attendersi dopo un film così definitivo e terminale, unico nel suo genere, un’opera dal marchio immediatamente riconoscibile e perciò inimitabile, impossibile da ri-concepire persino da parte del suo autore.

Risultati immagini per twin peaks stagione 3 fotoE invece era proprio vero: Twin Peaks serie 3 è ormai sugli schermi italiani dal 26 maggio (ma sul canale streaming di Sky era disponibile anche qualche giorno prima) e gli accreditati stampa di Cannes hanno potuto goderne l’emozionante visione su grande schermo, limitatamente ai primi due episodi, proprio in una edizione del Festival che si è distinta per la polemica tra il Presidente di Giuria Pedro Almodóvar e il colosso televisivo Netflix. Secondo chi scrive, il serial di Lynch ha dato ragione un po’ a entrambi confermando (semmai ce ne fosse ancora bisogno) come, da un lato, anche in TV è possibile rintracciare prodotti di grande qualità narrativa, estetica e visiva, e che ormai il piccolo schermo ha un ruolo preponderante nella creazione dell’immaginario collettivo, e dall’altro che la visione in sala di Twin Peaks e le emozioni difficilmente eguagliabili che essa ha regalato abbiano dimostrato che i fautori del “rito collettivo” saranno forse gli ultimi romantici ma hanno la loro parte di ragione nel magnificare la sala buia e l’ineguagliabile qualità dei suoi peculiari optional (dimensioni dello schermo, pregevolezza del suono).

Tornando più specificamente al contenuto dei primi quattro episodi di Twin Peaks, Lynch e il suo co-sceneggiatore Mark Frost hanno mostrato di non aver ceduto di un millimetro di fronte alla nuova estetica televisiva: identiche infatti sono le atmosfere delle serie precedenti, come se il regista volesse dirci che, almeno dal punto di vista poetico-visivo, i ventisette anni che separano lo spettatore dagli ultimi episodi non fossero mai trascorsi, così da consentire una sorta di ritorno a casa dopo un breve viaggio. Ma naturalmente non è esattamente così: ce lo dice l’invecchiamento degli attori, la canizie del vice-sceriffo di origine indiana Hawk, la commovente apparizione di Margaret, la “signora del ceppo”, attaccata all’ossigeno (e l’attrice Catherine Coulson, che la incarna, è infatti deceduta poco dopo la fine delle riprese), lo struggente pianto di Bobby Briggs, ex-fidanzato di Laura Palmer, quando vede la foto della ragazza, immortalata per sempre nel sorriso che la elesse a reginetta della scuola, lo scambio di sguardi alla fine del quarto episodio tra James Hurley e Shelly Johnson (gli attori James Marshall e Mädchen Amick), i piccoli diverbi tra i fratelli Benjamin e Jerry nel vecchio “Great Northern”, l’hotel di lusso di Twin Peaks.

Perché è ovviamente da lì che si riparte, dalla piccola cittadina statunitense ai confini con il Canada sebbene la geografia si allarghi e vi siano una molteplicità di luoghi e di spazi in cui personaggi vecchi e nuovi si muovono. Twin Peaks, certo, con il solito tran tran e i piccoli siparietti da situation comedy tra i coniugi Brando, Andy e Lucy, che si svolgono all’interno dell’ufficio dello sceriffo Truman. Ma poi c’è New York, dove il giovane Sam sta a guardia di una misteriosa scatola di vetro, dalla quale ad un certo punto un essere ectoplasmatico fuoriesce, dilaniandolo insieme alla fidanzata Tracey. Intanto a Buckhorn, nel South Dakota, una donna, Ruth Davenport, viene ritrovata decapitata nella sua stanza ma il suo corpo è sparito mentre al suo posto c’è il corpo di un uomo (del quale, però, è sparita la testa). Per questo delitto viene poi arrestato Bill Hastings, il preside della scuola, che rivela alla moglie Phyllis di essere innocente ma di avere sognato di essere nell’appartamento della Davenport.

Fuori dagli spazi geografici immediatamente riconoscibili o classificati dalle didascalie, in una dimensione altra, probabilmente a dirigere e guidare gli eventi, c’è poi la Loggia Nera, con i suoi tendaggi rosso cardinale ed il suo pavimento geometrico, dentro la quale l’agente Dale Cooper si trova intrappolato in mezzo ai suoi fantasmi: l’uomo senza un braccio Mike, Laura Palmer, il Gigante che parla al contrario, una donna senza occhi che, nello straordinario incipit del terzo episodio, lo conduce in una specie di galassia per farlo poi tornare sulla Terra attraverso una presa di corrente, dopo che una specie di pianta (l’evoluzione del braccio delle prime serie) gli ha rivelato l’esistenza di un suo doppelganger, una sorta di doppio malefico che è probabilmente lo spirito di Bob, il demone dal nome palindromo, responsabile della morte di Laura Palmer. A sua volta, questo Cooper/Bob ha creato un suo doppio, chiamato Dougie Jones, che va a prendere il suo posto nella Loggia Nera.

Infine, Las Vegas e Filadelfia: la prima città è il luogo in cui il Cooper originale, nel suo consueto elegante abito nero e in uno stato quasi catatonico, vince una grossa somma di danaro prima di prendere il posto di Dougie Jones, mentre dalla seconda muovono gli agenti dell’Fbi Gordon Cole (interpretato ancora una volta dal regista stesso) e Albert alla notizia del ritrovamento di Cooper, cioè in questo caso, del suo doppio malefico, che dice loro di stare agendo sotto copertura.

Insomma, come al solito, David Lynch semina tutta una serie di piste in una narrazione che sembra deragliare in continui detour, svicola in varie direzioni, mescola fatti e luoghi, si diverte a far riapparire personaggi appena morti, va avanti per continui spostamenti di tono, scherza con i generi mescolando il fantastico ed il poliziesco, il thriller e la commedia, l’horror e la soap opera. Solo il seguito potrà dirci se l’affastellarsi di questa miriade di elementi si rivelerà sconnesso, come vogliono i detrattori oppure se, al contrario, le creazioni di Lynch sono perfettamente logiche e lineari a patto di avere l’attenzione di rimettere con calma tutti i pezzi in ordine riconoscendo la tessitura perfettamente calibrata, pur nel caos apparente.

Intanto, il consiglio è di lasciarsi incantare dalle immagini e di farsi cullare dalla cornice musicale, dalle celeberrime note di Angelo Badalamenti che aprono ogni episodio e dalle canzoni pop (finora i Chromatics, i Cactus Blossoms e le Au Revoir Simone) che lo chiudono con i loro suoni e motivi così simili a ninnananne. “Is it the Future or is it the Past?” ha chiesto Mike, l’uomo senza un braccio, a Dale Cooper nel terzo episodio. Chissà, forse Twin Peaks non è altro che il luogo dove il futuro e il passato si toccano, si richiamano a vicenda, si scambiano di posto e dove, come cantano i Chromatics in “Shadow”, ciascuno è solo “il sogno di uno sconosciuto”. Ed è da quel sogno che deve ripartire per poter tornare a casa.

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