“Le streghe di Salem” di Rob Zombie: simpathy for the cinema
1692: a Salem, Massachusetts, sette streghe vengono bruciate sul rogo dal reverendo Hawthorne, non prima di avere lanciato moniti e maledizioni contro la discendenza dell’inflessibile prelato. Trecento anni dopo seguiamo le vicende della DJ rocker Heidi La Roc che lavora ad una radio locale insieme a due amici. Una sera Heidi vede una strana ombra aggirarsi sul pianerottolo dove si trova il suo appartamento. Qualche giorno dopo, la ragazza riceve una scatola di legno con dentro un vinile, inviato da un gruppo che si firma “The Lords” (I Signori, e The Lords of Salem è infatti il titolo originale del film). Heidi pensa si tratti di una rock-band che vuole pubblicizzare la sua musica ma l’inquietante rumore prodotto durante l’ascolto del disco all’incontrario comincia a turbarla e innesca una serie di orrorifici eventi direttamente legati al processo di stregoneria svoltosi 300 anni prima…
In attesa (lo confessiamo: trepida) di poter valutare il suo nuovo film, 31, presentato all’ultima edizione del Sundance Film Festival lo scorso gennaio, ci andiamo oggi ad occupare di quello che è probabilmente il capolavoro di Rob Zombie, al secolo Robert Bartleh Cummings. Ex leader della band di heavy metal denominata “White Zombie”, scioltasi nel 1998, il regista originario di Haverhill, Massachusetts, è considerato a buon diritto uno dei maestri dell’odierno cinema dell’orrore, erede ideale di cineasti come Tobe Hooper, George A. Romero, Sam Raimi e John Carpenter. Infatti, al di là di seguiti, remake e opere più o meno “ispirate a” e persino di una versione in 3D, è proprio La casa dei 1000 corpi, l’esordio di Zombie uscito nel 2003, il vero rifacimento del classico The Texas Chainsaw Massacre (noto in Italia come Non aprite quella porta) di Tobe Hooper, così come a lui si deve il ritorno di Michael Myers nei due film, molto interessanti, ispirati ad Halloween di John Carpenter.
Con questo suo quinto lungometraggio, girato tre anni dopo la folle pellicola di animazione The Haunted World of Superbeasto, Zombie punta in alto e realizza un vero, compiuto e maturo film d’autore nel quale i classici ed irrinunciabili elementi del genere si fondono mirabilmente con una messinscena ambiziosa che innesta nella dimensione molto “fisica” della narrazione, con al centro il corpo, le sue metamorfosi e le sue derive, un intrigante aspetto trascendente nel quale la realtà si confonde con l’immaginazione al punto che, al termine del film, sarebbe persino lecito supporre che quanto lo spettatore ha visto sia il semplice frutto delle visioni di una ragazza tossicodipendente e della sua fragile e labile personalità.
Insomma spiazzando tutti, compresi i fan del regista (molti dei quali non hanno gradito sancendo lo scarso successo del film al box-office), Le streghe di Salem non è una saga del grandguignol né un esasperato festival del gore più sanguinolento, e neppure una girandola di frenetici ammazzamenti attraverso vari strumenti atti allo scopo o un campionario di torture e aberrazioni. Si tratta invece di un film di pregevolissima fattura, l’opera di un cineasta talentuoso che si dimostra per giunta coltissimo e raffinato, capace di misurarsi, mantenendo una sua originalità, con registi del calibro di Stanley Kubrick e del suo Shining (1980), del Polanski di Rosemary’s Baby (1969), del Ken Russell de I diavoli (1971), del Peter Greenaway di The Baby of Macon (1993).
Zombie mostra mano sicurissima nella direzione degli attori (tra cui spicca la protagonista Sheri Moon Zombie, moglie del regista, bellezza che buca lo schermo), nella capacità di suggerire il terrore anche dove non c’è, nel sincretismo geniale delle musiche in un film dove è infatti possibile ascoltare, perfettamente miscelati, Lou Reed e Bach, Bruce Springsteen e Mozart, di cui il regista utilizza il Requiem in una scena magistrale su cui torneremo, oltre a musiche dello stesso autore e ad una serie di inquietanti distorsioni sonore.
Pur non rinunciando ad alcuni topoi del cinema horror, Zombie li riscatta, li rielabora e, in certi casi, li prosciuga con stile personalissimo e sicuro piglio autoriale. Non mancano, infatti, nel film, le solite porte chiuse che danno accesso a luoghi misteriosi e/o terribili, i topi che sbucano sui pianerottoli, mostruose figure e demoni di varia statura e magrezza, frenetici sabba, spaventevoli sequenze oniriche che dimostrano come il regista abbia inglobato e fatto sua una grande quantità di cinema di spavento, horror italiani compresi. Ma accanto e attorno a questi elementi classici “di genere”, il regista (ri)crea un universo immaginifico e surreale, dichiaratamente antireligioso, in cui i Re Magi sono sostituiti da tre streghe dall’aspetto di innocue giocatrici di canasta, i “Lacrimosa” del Requiem di Mozart fanno da sottofondo alla scena apicale del film: una sorta di seduta spiritica ed un presepe blasfemo animato da sole donne, in una magnifica sarabanda forse solo un po’ guastata da qualche enfasi kitsch che appare leggermente fuori tono.
Con Le streghe di Salem Zombie centra l’obiettivo di realizzare qualcosa di completamente nuovo e diverso rispetto ai suoi lavori precedenti, un’opera densa e stratificata il cui unico scopo ed interesse sembra essere il Cinema tout court, come suggerisce, con pregevole sintesi icastica, lo sfondo delle immortali icone cinefile di George Méliès e del suo Voyage dans la lune (1902) che campeggiano significativamente dietro il letto di Heidi. Prima che la ragazza venga sottoposta al “Rito” vediamo comparire, infatti, le immagini immortali della neve stellare e del razzo che si conficca nell’occhio della Luna, forse a voler dire allo spettatore che, per gli amanti della Settima Arte, è il Cinema stesso ad essere un atto di stregoneria. O forse, di più: una magnifica ossessione, un sublime sortilegio.
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