Lo spettro errante del nostro eterno dualismo
«Tu hai vinto» mi disse «ed io cedo. Ma tu pure, da questo momento, sei morto – sei morto al Mondo, al Cielo, alla Speranza! In me tu esistevi – e ora, nella mia morte, in questa mia immagine che è la tua, guarda come hai definitivamente assassinato te stesso».
Edgar Allan Poe – William Wilson (Trad. Elio Vittorini)
«Sia sul piano scientifico che su quello morale, venni dunque gradualmente avvicinandomi a quella verità, la cui parziale scoperta m’ha poi condotto a un così tremendo naufragio: l’uomo non è veracemente uno, ma veracemente due.»
Robert Louis Stevenson – Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hide (Trad. Fruttero & Lucentini)
Sebbene Doppelgänger sia un’espressione mutuata dal folklore tedesco (parola composta che significa letteralmente “il doppio viandante”), le cronache leggendarie di personaggi cui sarebbe apparsa in forma più o meno spettrale la propria stessa immagine sono molto antiche, così come le credenze relative, diffuse in tutte le culture umane e collegate spesso alla loro concezione dell’identità e dell’anima dell’essere umano. Così, già gli antichi Egizi conoscevano, tra le varie ripartizioni da loro teorizzate dell’anima umana, il ka, corrispondente allo spirito vitale, il quale se scisso dal corpo era causa della morte dell’individuo. Esso, pur essendo una entità spirituale, poteva assumere forma tangibile e sostentarsi grazie a cibi e bevande, e difatti le offerte rituali di vettovaglie tipiche degli usi funebri egizi erano appunto destinate a tale entità.
Nella mitologia greco-romana l’apparizione del doppione di una persona vivente è spesso dovuta all’intervento della divinità, che si serve di tale stratagemma per perseguire i suoi scopi, spesso decisamente terreni (paradigmatica in tal senso è la commedia Anfitrione di Plauto, cui si deve appunto l’utilizzo del nome di uno dei protagonisti, il servitore Sosia, come termine di uso comune nell’italiano per indicare la pedissequa somiglianza tra due individui). Non mancano tuttavia nelle cronache le apparizioni spettrali del proprio doppio a personaggi celebri, che costituiscono a seconda dei casi un presagio fausto o infausto. Plutarco riferisce che Marco Giunio Bruto avrebbe visto, la notte prima della battaglia di Filippi, l’apparizione del proprio doppio. «Sono il tuo cattivo demone, Bruto: ci rivedremo a Filippi», queste sarebbero state le parole pronunciate dallo spettro. Altre cronache di analoghe apparizioni riguardano l’imperatore romano Flavio Claudio Giuliano: il suo Genius Publicus gli sarebbe apparso in varie occasioni, fauste e infauste, della sua vita di imperatore; in particolare, la notte del 25 giugno 363 D.C. (alla vigilia della battaglia in cui avrebbe trovato la morte, in terra frigia), lo aveva visto nel buio della sua tenda, mentre lo fissava muto e con il capo velato a lutto. Si può osservare che la figura del Genio, nella sua accezione di entità tutelare dell’individuo (in origine però solo maschio, per le donne la figura equivalente era Iuno), che nasce con lui e lo segue per tutta la durata della sua vita, sembra avere molto in comune con il ka egizio.
Nella mitologia norrena e finlandese troviamo invece le figure del Vardøger e dello Etiäinen, in entrambi i casi il significato della parola si può tradurre con “spirito predecessore”. Difatti si tratta di una via di mezzo tra uno spirito guida e una “proiezione” della persona, che spesso appariva compiendo azioni che più tardi avrebbe compiuto l’individuo originale. Nella cultura anglosassone, prima che la parola tedesca divenisse di uso comune (nella metà dell’Ottocento) era diffuso il termine fetch, di origine gaelica, che identificava una figura a metà tra il Doppelgänger e il fantasma. Interpretazione accreditata la fa derivare dall’antico scandinavo fylgja, parola che indicava una sorta di alter ego connesso al destino dell’individuo. Altre interpretazioni attribuiscono al fetch le caratteristiche di uno spettro psicopompo, ovvero una entità che appare in occasione di un decesso (tale sarebbe l’accezione dell’arcaico verbo to fetch, ma altre fonti la ricollegano all’antica parola fæcce, che identifica invece una sorta di spettro-incubo). Nel folclore bretone e normanno, invece, la figura del doppio spettrale era un infausto presagio, in quanto veniva considerato una personificazione di Ankou, spirito guardiano delle tombe ed emissario della Morte.
Non si pensi che con l’età moderna e l’arretrare della superstizione di fronte alla cultura positivista l’ossessione dell’umanità per il doppio spettrale dell’individuo scompaia: vi sono testimonianze di simili apparizioni da parte di poeti e letterati (John Donne, Percy Bysshe Shelley, Wolfgang Goethe), tutti hanno riferito nelle loro memorie di aver incontrato il proprio doppio spettrale, spesso messaggero di future disgrazie, mentre Guy de Maupassant nel racconto Lui stilò la non si sa quanto fittizia cronaca degli incontri con il proprio Doppelgänger). Persino Abramo Lincoln avrebbe visto due suoi doppi in uno specchio, uno dei quali dal pallore mortale. Secondo la moglie, cui riferì l’episodio, l’apparizione era il presagio che sarebbe stato eletto presidente per due mandati, senza però sopravvivere al secondo. Vi è poi la testimonianza (raccolta da Robert Dale Owen in un suo studio) sul caso di Emile Sage’e, insegnante di lingua francese della metà dell’Ottocento sulla cui bilocazione vi sarebbero state le testimonianze dei suoi stessi allievi nella scuola in cui insegnava, (Pensionnat Von Neuwelcke, nell’odierna Lettonia).
Dare compiuta contezza della presenza di questa figura nelle opere letterarie è improponibile nel ridotto spazio di questo articolo. Ciò soprattutto in quanto il tema del Doppelgänger è stato utilizzato, a differenza di altre figure del folklore e della mitologia, ben al di là dei confini della letteratura del soprannaturale o prettamente fantastica, talvolta sublimato assieme all’altro topos dell’alter ego. Partendo dalle salaci commedie di Plauto per arrivare alle opere dell’Ottocento russo, in particolare di Fëdor Dostoevskij (che ne fa uso nelle opere Il sosia e Il doppio), di Charles Dickens (assiduo frequentatore della ghost story, egli inserì il tema del doppio sia in Grandi Speranze che in Storia di due città), la presenza del Doppelgänger permea anche importanti opere narrative del Novecento, come la Trilogia di New York di Paul Auster, le opere di Zafròn, di narratori italiani come Italo Calvino e Umberto Eco, fino ad arrivare al terzo millennio con L’uomo duplicato di José Saramago. Nel campo della letteratura gotica e soprannaturale, uno dei primi esempi significativi è il celebre racconto William Wilson di Edgar Allan Poe, in cui la figura del Doppio assurge a personificazione della coscienza morale del protagonista, alla quale egli cerca di sfuggire per tutta la vita, fino a ribellarsi apertamente nel parossismo finale di violenza che segna il suo definitivo abbrutimento.
Il tema del Doppio è presente in maniera rilevante in due opere letterarie fondamentali per l’età vittoriana quali Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde e Lo strano caso del Dottor Jekyll e il Signor Hide di Robert Louis Stevenson (quest’ultimo in verità sublima anche, in modo assolutamente originale, il tema della licantropia). Ma anche in numerose storie di altri autori vittoriani quali per esempio Henry James (il doppio presente nel suo racconto L’angolo ameno è in realtà la proiezione di una esistenza alternativa del protagonista)
Nel Novecento questa suggestiva figura viene sfruttata in innumerevoli declinazioni che ne attualizzano la portata perturbante. In La metà oscura Stephen King, attingendo a spunti autobiografici fonde il tema del Doppelgänger con quella dell’alter ego letterario raccontando la storia dello scrittore Thad Beaumont. Egli è perseguitato dal suo alter ego (autore di romanzi violenti e scioccanti) George Stark, che si rivelerà alla fine non una semplice identità fittizia ma un’entità che affonda le sue origini nell’infanzia oscura del protagonista. Un’altra interessante variazione sul tema la realizza nel racconto Finestra segreta, giardino segreto, il cui protagonista è anche stavolta uno scrittore ossessionato da quello che potrebbe essere un suo fittizio alter ego letterario, ma che finisce per rivelarsi la personificazione di un oscuro senso di colpa sepolto nel suo passato.
William F. Nolan, brillante autore americano contemporaneo, ci ha dato alcuni interessanti racconti sul tema del Doppio, come Il tenebroso vincitore, in cui esso diviene personificazione di un passato che ritorna a turbare il protagonista adulto, e Coincidenza, sorta di paradosso temporale in cui la storia si riavvolge su sé stessa di continuo come un nastro di Möbius.
Con La settimana di Novins (Shatterday il titolo originale) il geniale Harlan Ellison rielabora questo classico tema con la sua consueta originalità, realizzando una storia breve che conobbe anche una trasposizione televisiva con un giovane Bruce Willis nella serie Ai confini della realtà: cosa accadrebbe se in un bar, complice qualche drink di troppo, componessimo per errore il numero del nostro appartamento… e qualcuno che non può essere lì ci rispondesse?
Tra le più interessanti opere a tema, sull’ultimo scorcio del Novecento, si segnala l’inglese Nicholas Royle per il romanzo Smembramenti. Storia priva di una precisa risoluzione finale, sospesa costantemente tra delirio e squallido grigiore urbano, questo romanzo si può considerare una variante sul classico tema del doppio, venata tuttavia di elementi sadomasochistici e di cosmica predestinazione, con il tema portante che ridonda nel luogo eletto per il fatale incontro-scontro finale tra i due protagonisti: una Berlino ancora divisa dalla Guerra Fredda che per questo motivo finisce per essere il Doppelgänger di sé stessa.