“Twin Peaks”, episodi 15-16: partenze e ritorni
Forse l’abbiamo già scritto in qualcuno dei contributi precedenti attraverso i quali la nostra rivista sta accompagnando la terza (e probabilmente ultima) parte di Twin Peaks. O forse l’abbiamo detto in una chiacchierata tra amici, oppure l’abbiamo soltanto pensato. In ogni caso, il dittico formata dalle puntate 15 e 16 della serie ce lo ha ulteriormente confermato: ben lungi dall’essere un regista chiuso nelle sue ossessioni e nei suoi deliri, nelle sue immagini raccapriccianti e conturbanti, David Lynch ha uno straordinario amore e rispetto per i suoi personaggi e vuol loro un gran bene.
Infatti, la puntata 15 è anche quella in cui finalmente l’ossessiva Nadine lascia libero il marito Ed e questi può finalmente rivelarsi all’amata Norma in una sequenza che vivifica e rivitalizza l’immaginario della soap opera grazie alla perfetta gestione dei tempi (memorabile la mano di Norma che compare sulla spalla di Ed nel momento culminante) e all’inserimento del bellissimo brano “I’ve been loving you too long” di Otis Redding. Ma, a fare da contraltare all’unione finalmente celebrata tra Ed e Norma, una delle tante bellissime storie laterali della serie, c’è invece l’addio struggente della log lady Margaret Lanterman, la Signora del Ceppo interpretata da Catherine E. Coulson (singolare la dedica finale della puntata “In memory of Margaret Lanterman”, che sostituisce, sovrapponendolo, il nome del personaggio a quello dell’attrice). La luce della stanza di Margaret che, ripresa in campo lungo, lentamente si spegne lasciando lo schermo al buio, è uno dei momenti emotivamente più alti di questo “ritorno” a Twin Peaks, soprattutto se si tiene in considerazione che l’attrice è morta proprio durante le riprese. “I’m dying” sussurra Margaret all’amico vice-sceriffo Hawk, e in quel momento siamo tutti con e accanto a lei,
Altrettanto commovente è l’addio di Dougie Jones/Dale Cooper, finalmente risvegliatosi, alla moglie Janey-E e a suo figlio Sonny Jim: Dale è finalmente rinsavito e il dovere lo chiama a Twin Peaks, dove lo accompagneranno i formidabili fratelli Mitchum, la cui presenza consente al regista si stemperare la solennità del momento annegandola nelle risate e nei whiskey che la coppia beve nella limousine insieme a Dale. Geniale, inoltre, l’idea di Frost/Lynch di collegare il risveglio di Dale con Viale del tramonto di Billy Wilder, una delle opere somme della storia del cinema: ad un certo punto, come forse i più attenti ricorderanno, il regista Cecil B. DeMille, nella parte di sé stesso, ordina ad un suo aiutante di parlare subito con uno dei boss della produzione che risponde al nome di Gordon Cole, omonimo cioè del personaggio interpretato da David Lynch.
Tuttavia, anche in questo dittico dominato da sequenze di grande realismo, non mancano le incursioni nel fantastico: la visita di Cooper malvagio al convenience store accompagnato dai fantasmi prodotti dall’esplosione nucleare, il suo incontro con Jeffries, trasformato in una sorta di enorme bricco fumante e stillante numeri e codici, la “disintegrazione” di Richard Horne, la scoperta delle vere sembianze di Diane, l’apparizione di MIKE che prelude, precedendolo, al risveglio di Dale, l’improvvisa dislocazione di Audrey mentre danza al “Roadhouse” al ritmo di un ballo di gioventù, proveniente direttamente dagli albori della serie, prima che una volta ancora il “Roadhouse” si trasformi in un luogo di inquietudine e violenza. E, a proposito di questo locale, luogo di quasi tutti i finali degli episodi di questa terza seria, sarebbe bello indagare sul suo ruolo e significato, sorta di spazio atemporale dove, proprio come nell’immaginaria cittadina statunitense al confine con il Canada, il tempo sembra non essere mai passato e dove alcuni personaggi tornano per ricordare ciò che sono stati e aggrapparvisi, forse inconsciamente chiedendosi: “Is it the future or is it the past?”.