Venezia 74, premi e bilancio finale: speranze per il futuro
Anche questa 74° Mostra del cinema di Venezia va in archivio. È stata sicuramente un’ottima edizione, probabilmente la migliore del periodo Barbera-bis: diversi film validi in concorso, talvolta accolti in maniera differente dagli addetti ai lavori (il che è più un bene che un male), un’edizione di “Orizzonti” che ha alternato lo sperimentalismo e il cinema più nei canoni (narrativamente parlando), una ricca selezione di classici restaurati. Restano certo i vuoti geografici da riempire, con interi pezzi di mondo totalmente assenti (Africa, ex-Unione Sovietica, pochissimi film dall’Estremo Oriente) ma il livello delle opere presentate è stato mediamente buono, toccando con alcuni titoli vertici molto alti.
Alla fine il trionfatore è stato Guillermo Del Toro che si è aggiudicato il Leone d’oro con The Shape of Water, il suo decimo lungometraggio ed il primo ad ottenere un riconoscimento internazionale così prestigioso. A seconda del punto di vista da cui la si guardi, la scelta della Giuria presieduta da Annette Bening appare, allo stesso tempo, profondamente conformista ed estremamente rivoluzionaria. Da un lato, infatti, vince un film hollywoodiano, un racconto già visto e già raccontato sebbene con declinazioni diverse, una produzione ad alto budget che schiera attori di grosso calibro e che, anche senza il premio veneziano, avrebbe avuto una distribuzione capillare. Dall’altro lato, però, si sceglie di innalzare in cima al podio veneziano, forse per la prima volta nella storia della competizione lidense, un film di genere fantastico, un’opera nella quale vi è un abbondante dispiego di effetti speciali. In questo senso la scelta del film di Del Toro (di certo non il migliore del Concorso) è almeno utile a rompere un tabù, che vuole i film di genere quasi mai premiati nei Festival internazionali, perché genericamente considerati “commerciali”, “disimpegnati”, “non artistici”, categorie che riportiamo tra virgolette perché ci sembrano ormai desuete e che si spera perciò superate.
Se la scelta di Del Toro può quindi essere anche una buona notizia, assai più perplessità destano le scelte di Foxtrot di Samuel Maoz che, dopo il Leone d’oro nel 2009 con Lebanon, bissa il successo assicurandosi un Gran Premio della Giuria a dir poco generoso. Il Leone d’argento per la regia a Jusqu’à la garde dell’esordiente Xavier Legrand (vincitore anche del “Leone del futuro” per l’opera prima) è una decisione incomprensibile, specialmente se si considera che sono tornate a casa a bocca asciutta opere di ben altro livello come The Third Murder di Hirokazu Kore-eda, First Reformed di Paul Schrader, La Villa di Robert Guédiguain, Ex Libris di Frederick Wiseman (che ha però portato a casa almeno il premio FIPRESCI, attribuito dalla critica internazionale) e Mektoub, My Love, Canto Uno di Abdellatif Kechiche, film che personalmente abbiamo trovato insopportabile ma che grandi consensi ha destato in larga parte della critica.
Il cinema italiano è andato piuttosto male per quanto concerne il Concorso, con la sola Coppa Volpi assegnata a Charlotte Rampling per la sua intensa performance di Hannah di Andrea Pallàoro ma almeno è stata bissata la vittoria dello scorso anno (quando vinse Liberami di Federica Di Giacomo) nella sezione “Orizzonti” con l’affermazione del bello e sorprendente Nico, 1988 di Susanna Nicchiarelli. Inoltre, forse la notizia più bella per il nostro cinema viene dal successo di critica e pubblico conseguito da Gatta Cenerentola di Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Marino Guarnieri e Dario Sansone, film d’animazione che si spera possa aprire nuove vie ad un genere che in Italia è ridotto ormai quasi al nulla. Buono anche il successo dello squinternato ma geniale Ammore e malavita dei Manetti bros., accolto coraggiosamente in Concorso e che è risultata una delle opere più fresche di tutta la Mostra.
Infine, tra le altre visioni, ci sono da segnalare almeno due opere sorprendenti, per bellezza estetica e/o maturità artistica. Il primo è No date no signature, opera seconda del’iraniano Vahid Jalilvand (sezione “Orizzonti”), vincitore del premio per la regia e per il miglior attore protagonista, film che mette in scena un complesso dilemma morale, con una messinscena ed una tensione degna del miglior Farhadi. Il secondo è Les garçons sauvages, esordio di Bertrand Mandico, presentato alla Settimana Internazionale della Critica, film potentissimo che, ben diversamente dal film di Legrand, avrebbe meritato un premio come opera che guarda al futuro del cinema, un futuro che ci auguriamo possa essere come questo film (da molti definito giustamente il più sorprendente di tutto il Festival): visionario, coraggioso, ambizioso, impavido.
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