Carni aliene e idilli biomeccanici
Negli anni ’80 del Novecento registi come John Carpenter, David Cronenberg, James Cameron e altri, sono stati protagonisti di una nuova corrente del cinema horror e fantascientifico. Questo movimento, definito spesso della “Nuova Carne”, con l’ausilio di effetti speciali all’avanguardia e puntando molto sulla spettacolarizzazione del dettaglio visivo, spesso spingendo sul senso del macabro e disturbante, ha prodotto opere che si interrogavano sulla tematica della contaminazione dell’umano con elementi a esso alieni, che può essere una degenerazione genetica, come accade ne La mosca di Cronenberg (che rilegge un classico della fantascienza cinematografica personalizzandolo con le sue ricorrenti tematiche della degenerazione biologica e psicologica), oppure con entità aliene come in La cosa di Carpenter (altro remake di un classico, reinterpretato spingendo sul pedale della violenza visiva ma anche del senso di paranoia), oppure con il metallo e la meccanica. Due opere tradizionalmente considerate di fantascienza come Alien di Ridley Scott e Terminator di James Cameron (che dirigerà anche il pluriosannato sequel di Alien) sono caratterizzate da atmosfere paranoiche e perturbanti, e trovano il loro comune elemento terrorizzante nel rappresentare la contaminazione tra organico e meccanico. In Alien i dettagli dell’astronave suggeriscono similitudini con strutture organiche, tanto da farla apparire come un corpo abitato. Di contro, l’alieno è una creatura extraterrestre le cui caratteristiche fisiche, fatte di elementi tubolari e dentellature che richiamano strutture meccaniche, lo fanno apparire una forma di vita adatta a un ambiente tecnologico.
In Terminator la storia si svolge nel nostro presente, ma con una premessa che viene dal futuro: le macchine ribelli che in futuro domineranno l’umanità si servono della scoperta del viaggio nel tempo per assassinare la madre del futuro capo della resistenza. Ciò che domina e catalizza l’attenzione nel film è la messa in scena della fisicità di Arnold Schwarzenegger, splendido e implacabile sicario cyborg, corpo perfetto che nasconde al suo interno un orribile scheletro d’acciaio.
In quegli anni la tematica della commistione tra biologico e umano anima anche opere cinematografiche riconducibili all’horror tout court. Nel 1983 ecco L’ascensore, horror olandese diretto da Dick Maas, che racconta dell’ascensore di un grande edificio commerciale che inizia a mostrare anomalie di funzionamento, fino a causare numerose morti misteriose. Le atmosfere noir/horror della prima parte del film sfociano in un finale a base di chip realizzati su base organica che si sviluppano in modo incontrollato arrivando a trasformare la macchina in un vero e proprio organismo cibernetico e autocosciente.
Nel 1989 esce Tetsuo, del giapponese Shinya Tsukamoto. In questo racconto allucinato e dalla trama non sempre chiara la portata disturbante della contaminazione tra uomo e macchina raggiunge la sua apoteosi più estrema e parossistica. La storia inizia mostrandoci un feticista del metallo che si pratica un innesto di un tubo d’acciaio in una ferita che si è procurato in una coscia. Quando si verifica una reazione di rigetto con infezione della gamba egli si da alla fuga lungo un paesaggio di degrado post-industriale, venendo investito dall’auto di un impiegato che si trova assieme alla sua fidanzata. Creduto morto dai due, che si danno a un amplesso dinanzi al suo corpo per distrarre il suo spirito ed evitarne la vendetta, il moribondo feticista (interpretato dallo stresso regista) perseguita il suo investitore contaminandone l’anima fino a realizzare nella sua fisionomia una inspiegabile commistione tra carne e metallo. Tutto inizia quando egli facendosi la barba si scopre un piccolo condensatore che gli spunta sul viso. Successivamente le sue mani saranno invase da elementi metallici, gli spunteranno reattori sui talloni, e al culmine della sua metamorfosi il suo pene si trasforma in una trivella con la quale ucciderà la sua fidanzata in un momento di erotismo degenerato. Successivamente incontrerà di nuovo la sua nemesi, il feticista investito, in uno scontro finale-fusione che avviene nello scenario degradato dove ha avuto inizio la storia. Questo brillante esordio diviene in breve tempo un vero e proprio cult underground, spiccando, a dispetto della povertà dei mezzi di realizzazione, per la ricchezza di spunti originali. Tanto che il suo autore nei due successivi seguiti (Tetsuo II: The Body Hammer del 1992 e Tetsuo: The bullet man del 2009) poco potrà aggiungere di nuovo, limitandosi a raccontare la medesima storia e mostrare le stesse idee però in una confezione più lussuosa grazie al budget ben più notevole che la fama dovuta al suo primo film gli ha fatto ottenere.