“Che i bastardi non ti schiaccino”. Il progetto di Gilead e il punto debole dei sistemi di “illibertà” – Prima parte
di Marco Antonio D’Aiutolo
«Rachele, vedendo che non le era concesso di procreare figli a Giacobbe, divenne gelosa della sorella e disse a Giacobbe: “Dammi dei figli, se no io muoio!”.
Giacobbe s’irritò contro Rachele e disse: “Tengo forse io il posto di Dio, il quale ti ha negato il frutto del grembo?”
Allora essa rispose: “Ecco la mia serva Bila: unisciti a lei, così che partorisca sulle mie ginocchia e abbia anch’io una mia prole per mezzo di lei”
Così essa gli diede in moglie la propria schiava Bila e Giacobbe si unì a lei.»
(Genesi 30, 1-4)
Immaginate una società in cui la situazione descritta nel passo biblico si verifichi sul serio: mogli sterili che, pur di avere un figlio, hanno a disposizione un’ancella, quale proprietà di famiglia; durante quella che viene chiamata Cerimonia, il marito, alla presenza di tutti domestici, dopo la lettura del brano della Genesi, penetra l’ancella, stesa sul letto, tra le cosce della moglie. L’ancella non può, né deve opporre resistenza: è costretta passivamente ad accettare il rito, per poi concepire e partorire un figlio che non sarà suo, ma di quella famiglia. Immaginate un regime che abbia decretato questo, allevato donne a tale scopo, sotto minaccia di pene detentive e di trovarvi non in una società tribale, o del Terzo Mondo, in un Pakistan qualsiasi, ma nel civilissimo Occidente e precisamente negli Stati Uniti d’America. Bene!, è ciò che ha fatto, nel 1987, l’autrice femminista Margaret Atwood in The Handmaid’s Tale – Racconto di un’ancella, da cui è stato tratto prima un film nel 1990 di Volker Schlöndorff e di recente una serie tv statunitense ideata da Bruce Miller.
The Handmaid’s Tale, uscita negli USA il 26 aprile 2017 su Hulu e in Italia il 26 settembre 2017, è alla prima stagione conclusa (10 episodi). Descrive questo tipo di società, a regime teocratico di ispirazione biblica e cristiano-fondamentalista. Sotto certi aspetti, si differenzia dal romanzo omonimo a cui si ispira. Ne farò cenno solo di sfuggita, rimandando, per ulteriori approfondimenti, all’articolo di Maria Neve Iervolino, Il racconto dell’Ancella: distopia del presente, pubblicato sulla nostra Rivista. Mi atterrò, nel presente e nel successivo, a semplici analisi filosofiche ed etico-antropologiche, per riallacciarmi agli argomenti della mia rubrica.
Il mondo è in crisi, ha raggiunto livelli di inquinamento elevatissimi e tassi di natalità pari a zero. Nel tentativo di una svolta risolutiva, nel Nord America, si impone una piccola élite che, in seguito a un golpe militare, fonda una società reazionaria, con la pretesa di un ritorno a valori tradizionali e che prende il nome di Gilead (nel romanzo Repubblica di Galaad). È interessante immediatamente osservare come Gilead ottenga certamente dei veri e propri risultati positivi in questa direzione, mostrandosi un sistema ideale perfetto e ordinato. Ma a che prezzo?
Sin da subito le donne vengono asservite agli uomini, le poche fertili usate a scopi riproduttivi. Dichiara illegali le altre confessioni religiose, i matrimoni fuori della Chiesa di Stato, la lettura, l’istruzione e il diritto di parola per le donne. Mantiene il controllo della popolazione con il terrore e con i pogrom. Elimina i riottosi o li conduce in colonie per lo smaltimento di rifiuti tossici.
È la messa in atto di un progetto tipico degli ideologismi assoluti, di ciarlatane filosofie morali intransigenti, di sistemi politici totalitari o religioso-fondamentalisti, che si arrogano il “potere” di imporre sistematicamente ciò che è e deve restare un’idea: la perfezione. Accampano la pretesa, secondo Pietro Piovani, filosofo napoletano, di imporre un contenuto uniforme a un concetto, di per sé indeterminato, che dovrebbe determinarsi mediante libere azioni. Maneggiano, come algoritmi impeccabili, principi universali che nulla hanno a che fare con istituzioni, processi di sviluppo concreti, esperienze umane reali. Tale programma potrebbe pur essere regolativo, ma finisce con l’innescare fanatismi moralistico-politici che generano sacrifici di capitale umano più cruenti di quelli compiuti sugli altari degli Aztechi. È stata la preoccupazione di molti filosofi ed è la denuncia di The Handmaid’s Tale e, com’è stato osservato, non è un sistema poi così tanto distopico.
A Gilead ci troviamo, di certo, dinanzi a un programma in cui viene realizzata alla “perfezione” la visione lacaniana, finora proposta: “la Donna non esiste”. Difred, la protagonista, ad esempio, è un’ancella assegnata alla famiglia di uno dei Comandanti della società, Fred Waterford. Difred non è il suo nome. Prima del colpo di stato, era June Osborne. In pochi mesi, la sua vita cambia, perde diritti e libertà e, costretta alla schiavitù sessuale, le viene tolta persino un’identità: diventa cioè “di Fred” (Waterford). Interessanti sono anche le mogli dei Comandanti che accettano questa società maschilista, senza essere schiave, ma pur sempre inferiori al maschio, relegate in casa, messe a tacere, passive socialmente e politicamente, subiscono le ipocrite licenziosità celate dei mariti e sono ossessivamente smaniose di avere un figlio dall’ancella: “dammi un figlio se no muoio”, il riferimento biblico è sintomatico. Ci sono coloro che escono fuori dalla “legge” dell’ordine costituito, lesbiche, puttane, adultere che vanno integrate per fini riproduttivi; le non-assimilate, ossia quelle la cui integrazione non riesce e a cui è concessa una sola cosa da fare: prostituirsi in case di tolleranza; le Nondonne, di cui si parla solo nel romanzo, coloro che, essendo riottose o troppo vecchie per riprodursi, vengono eliminate. È la visione lacaniana portata all’estremo che è a fondamento di questa società e non la conseguenza della repressione, che invece legittima.
Il progetto di Gilead, però, è ben più ampio e si fonda addirittura sul fatto stesso che “l’Uomo non esiste”. E, sebbene in forme velate, più subdole e pericolose, è in atto nelle nostre società (pseudo)democratiche, nel mondo mediatico e dei social, mediante quella che Italo Calvino, in Lezioni Americane, ha definito “epidemia pestilenziale”. Una peste del linguaggio che ha colpito l’umanità nelle sue capacità specifiche, ne depaupera il potere conoscitivo e suggestivo per renderlo approssimativo, appiattito, privo di ogni significato, frivolo. Qui il senso stesso di idea perde ogni valore e omologante non è la perfezione, bensì la fanatica ricerca di felicità, ad ogni costo.
“Viviamo nell’era del ‘like’” ha osservato, in un’intervista, il filosofo sudcoreano, Byung-Chul Han. “Non c’è il pulsante ‘Dislike’ su Facebook, c’è ‘Like’, e questo ‘Like’ accelera la comunicazione, mentre invece il ‘Dislike’ la rallenterebbe. Similmente, essere feriti rallenta la comunicazione”. Un discorso applicabile anche alla politica. Non si tratta di forme di violenze dichiarate ed esplicite. Anzi, i promotori, apparenti, del diritto alla libera diversità, condividono milioni di post. Ma di un processo in cui si baratta la conoscenza per la felicità e conduce ad accettare passivamente un sistema che ci rende schiavi effettivi. “Nella sua struttura questa società – continua Han – non è diversa dal feudalesimo medievale. Siamo in una servitù. I signori feudali del digitale come Facebook ci danno la terra e ci dicono: arala e puoi averla gratis. Noi comunichiamo gli uni con gli altri e ci sentiamo liberi. I signori feudali si arricchiscono con questa comunicazione, i servizi segreti la monitorano. Questo sistema è estremamente efficiente. Non ci sono proteste contro tutto ciò, perché stiamo vivendo un sistema che sfrutta la libertà”. In un simile “desertico del reale”, da far impallidire anche Morpheus di Matrix, anche per Slavoj Žižek, siamo incapaci di riconoscere la nostra illibertà perché non possediamo più un linguaggio per esprimerla.
Non è un caso, quindi, che per Kant, come ha sottolineato John Rawls, felicità e perfezione siano due facce della stessa medaglia. Ma come si collega questo sistema efficiente di illibertà a quello descritto in The Handmaid’s Tale e che coinvolge anche le figure maschili? Entrambi certo si mostrano aggressivi, tendono all’eliminazione dell’altro soggetto, ma in che senso? Inoltre, come sostengo, lo stesso sistema presenta un “felice” punto debole. L’argomento è legato alla sessualità umana, che mostra come anche nel bellissimo Racconto non manca il riscatto: l’affrancarsi delle esistenze. Esso è espresso nel motto di un’ancella: “Che i bastardi non ti schiaccino”. Ma cosa significa? Di quale “affrancamento” stiamo parlando? Sarà ciò che tratterò nel prossimo articolo.