“Il ricamo mortale”: una globalizzazione noir
«Napoli ha sopportato tante dominazioni ed è riuscita sempre a cavarsela. Vedrà che questa città riuscirà a sopravvivere anche alla barbarie attuale.» (Il ricamo mortale, Tullio Pironti Editore, 2016)
Il Vesuvio rosso erutta sangue, non lava, ma reticoli di corallo: ricami di morte. Sono ramificazioni nei polmoni dovute al mesotelioma pleurico. Si tratta di un tumore che colpisce il mesotelio, il tessuto che avvolge la parete interna del torace e lo spazio intorno al cuore. Questo male, più di qualsiasi altro killer, è il protagonista del romanzo di Patrizio Fiore Il ricamo mortale.
L’esordio narrativo di Fiore è un ibrido tra il noir e l’opera di divulgazione scientifica, questi due momenti sono scissi tra i numerosi protagonisti: l’indagine cronachistica e la ricostruzione degli eventi sono affidate ai giornalisti Attico e Lorenzo Grimaldi; i momenti divulgativi al “dottore gentile e disponibile che si faceva chiamare per nome, Orazio“. Dal misterioso omicidio sull’asse mediano del controverso notaio Romano Contri hanno inizio le peregrinazioni dei protagonisti nel reticolo della città metropolitana. Una Napoli atipica in quanto il centro della narrazione non coincide geograficamente con quello storico della città, come solitamente avviene, ma nella periferia frequentata dalla popolazione immigrata. Da questo universo parallelo si snodano le tante storie che alla fine convergeranno nel medesimo punto, lontano dai luoghi che il lettore si aspetta, dai bordelli dei Quartieri Spagnoli e dalle carcasse dei treni in amianto abbandonati nell’hinterland.
La domanda che inizialmente sembrano porsi i personaggi è: chi ha ucciso il notaio Romano Contri? Ma non è quella giusta. La ricerca delle contingenze che hanno portato alla morte di Contri non portano alla risoluzione di un omicidio, ma allo scoperchiamento di un vaso di Pandora. I protagonisti, in un crescendo ad alta tensione, ricompongono i tasselli dell’enigma formando una catena virtuosa dell’informazione. Il centro occulto della vicenda è il cuore di Christie, una ragazza singalese che si scopre ammalata di mesotelioma pleurico a soli ventotto anni. Non è un caso che a entrare in contatto con lei sia Orazio. Lo sguardo del medico è quello di un essere ancora integralmente umano, in grado di trasmettere questa qualità ai pazienti in un contesto difficile come quello dell’ambulatorio per extracomunitari dell’ospedale Santa Maria di Loreto Mare a Napoli.
“L’aver bandito l’utilizzo dell’amianto nei vari cicli lavorativi non era bastato a circoscrivere il rischio. I soggetti esposti a manufatti che lo contenessero erano ancora tantissimi, in tutto il mondo, Italia compresa” A parlare è il dottore Roberto Andolfi, promotore, nella Napoli creata da Fiore, di campagne atte a sensibilizzare la popolazione e soprattutto le istituzioni ai rischi dell’esposizione all’amianto. L’amianto è infatti il minerale, fino a pochi decenni fa usatissimo nell’edilizia, le cui fibre sono la causa del mesotelioma.
Il tema trattato è forte e attuale, in particolare alla luce dei continui progetti che lo Stato propone per il recupero dell’area dell’ex Italsider, dove dagli anni Ottanta numerosi operai sono morti per l’esposizione alle fibre di amianto. L’Italsider è reale, è sempre a Bagnoli, intoccabile, più pericoloso del Vesuvio. La violenza degli argomenti è ben amalgamata in una trama avvincente; è possibile inoltre ravvisare nell’ironia amara di alcuni personaggi una ben definita influenza di Giuseppe Marotta, visibile soprattutto nei personaggi secondari.
L’opera risulta godibile per il vastissimo pubblico di affezionati al genere giallo, reso popolare negli ultimi anni da Maurizio de Giovanni, illustre autore della quarta di copertina de Il ricamo mortale. Tuttavia Fiore opera una cesura nei confronti del giallista capostipite: nel suo racconto infatti non ci sono poliziotti e detective: le forze dell’ordine, nella persona del vicequestore Guarino, sono silenti. Gli unici investigatori agiscono per diritto di cronaca: Attico e Lorenzo; o come Orazio, per amore della salute di tutti i cittadini. Sono queste le due anime dell’opera, il giornalismo e la medicina.
Lo scugnizzo Geremia ‘o viecchio incarna la città degli espedienti, parla in dialetto e solo quando arriverà a essere cronista si approprierà della lingua nazionale e dell’archivio del suo maestro Stefano, diventando Attico. Un passaggio di consegne identico avviene tra Orazio e il suo mentore, il dottor Vivoni. Sia Orazio che Attico accettano e arricchiscono l’eredità dei maestri, diventandolo a loro volta. L’archivio di Stefano viene ampliato con nuove informazioni, mentre il grembiule donato da Vivoni a Orazio smette di essere uno sterile accessorio di lavoro grazie al ricamo cucito da Christie. In entrambi i casi questi eventi mettono in luce i tratti caratteriali e le vocazioni dei protagonisti.
La Napoli descritta da Fiore non è una donna bella e abbandonata, non si rifà a immaginari mitici, non è demoniaca, non è ridicola: essa è uno sfondo, l’umanità che vi si agita la anima attivamente e non agisce come una sua antropomorfizzazione. Non è la Napoli di Gomorra, dei malavitosi intimamente malvagi, è la Napoli dei colletti bianchi: meno folcloristici, ma non meno pericolosi.
Lo sguardo impietoso di Curzio Malaparte aveva già visto in Napoli lo specchio di una realtà europea destinata a implodere e collassare su se stessa, ma quello che Malaparte non poteva vedere a metà del Novecento era l’espansione dei limes, i confini. Napoli non è il centro del decadimento della vecchia Europa ma del mondo globalizzato. La globalizzazione del lavoro, della cultura, e della criminalità. La civiltà sommersa che uccide con l’amianto, lentamente, non è una realtà camorristica locale e le sue vittime non sono solo italiane.
Nessuno è innocente nel romanzo di Fiore, ognuno fa la propria parte. Innocenti non sono le vittime, tra queste Contri stesso, ma i martiri inconsapevoli, come Christie, di un mondo globalmente criminale.