La testimonianza di Rodrigo Péret: “La visita di scambio del Dialogo Popolare in Zimbabwe è stata interrotta dall’arresto di tutti i suoi partecipanti”

di Rodrigo Péret, ofm

Dall’8 al 12 novembre, il People’s Dialogue Network (PD) ha condotto una visita di scambio in Zimbabwe per esplorare e comprendere la situazione sull’estrazione locale delle risorse minerarie e per partecipare alla commemorazione del 9° anniversario del massacro di Marange Diamond, fuori dalla città di Mutare. La commemorazione è un evento annuale per ricordare il massacro dell’operazione Hakudzokwi e per onorare e ricordare le centinaia di minatori assassinati dall’esercito nazionale dello Zimbabwe nel novembre 2008. L’obiettivo della visita di scambio è stato quello di comprendere il ruolo delle estrazioni locali e se queste ultime offrano alternative al saccheggio compiuto dalle multinazionali minerarie nei nostri paesi. Inoltre, la visita ha pure previsto la possibilità di analizzare e condividere le idee su come sia organizzata l’estrazione e quale sia il suo ruolo nella politica nazionalista di gestione delle risorse. È stato scelto lo Zimbabwe perché oltre un milione di persone sono coinvolte nel lavoro delle estrazioni. Il mattino del 10 novembre, i 22 delegati del People’s Dialogue Network sono stati arrestati e accusati di essere entrati illegalmente nei giacimenti di diamanti di Marange. Le accuse contro di noi, che hanno condotto alla denuncia del crimine, non reggono. Non c’erano segnali di avvertimento nella zona, né si trattava un giacimento. Lì vivono più di 6000 persone e al momento del nostro arresto ci trovavamo lì insieme a più di duemila persone riunitesi per la fase commemorativa.

L’arresto

Poche ore dopo l’inizio della commemorazione, la polizia, in un’operazione congiunta con funzionari dell’immigrazione e servizi segreti, ha cercato di interromperne lo svolgimento. In seguito è stato osservato che la polizia, pesantemente armata, si era già schierata in tenuta anti-sommossa in un vicino centro commerciale per fornire supporto in caso di rivolta. Dei funzionari dell’immigrazione hanno cercato di interrompere l’incontro tentando, invano, di afferrare il microfono del cerimoniere. Dopo una lunga pausa, noi brasiliani ci siamo consegnati ai funzionari dell’immigrazione, i quali ci avevano detto di voler solo verificare se i nostri passaporti fossero stati timbrati. Successivamente, altri delegati si sono sottoposti allo stesso controllo. Poi siamo stati portati presso la vicina stazione di polizia di Bambazonke, a circa 10-15 km di distanza dal luogo dove ci trovavamo.

Nel tardo pomeriggio, siamo stati condotti alla stazione di polizia centrale di Mutare. Alle nove di sera, siamo stati finalmente informati del motivo del nostro arresto. Ci hanno consegnato un documento per firmare il presunto reato che avremmo commesso. Abbiamo trascorso la notte in due celle non adeguate al rispetto della dignità dei detenuti. Le condizioni in quelle celle sono deplorevoli e questo ci ha fatti conoscere l’amarezza provata anche nei confronti di prigionieri che erano già stati incarcerati lì.

Sabato 11 novembre, siamo apparsi in tribunale e siamo stati rappresentati da un gruppo di avvocati dello Zimbabwe per i diritti umani. Ci hanno consigliato di dichiararci colpevoli, spiegandoci che se avessimo negato le accuse, probabilmente saremmo rimasti più a lungo in stato di detenzione. Un funzionario dell’ambasciata brasiliana si è recato personalmente sul posto per seguire le procedure, così come il vescovo di Mutare, inviato dalla la Nunziatura apostolica del Vaticano. La Corte ci ha posto davanti alla scelta di pagare una multa di cento dollari o di trascorrere una settimana in prigione. Poco dopo la nostra liberazione, gli avvocati sono stati informati sulla richiesta di alcune persone dell’Ufficio del Presidente che stavano facendo pressioni affinché noi fossimo tratti nuovamente in arresto. Questo ha spinto gli avvocati a ordinare che tutti, tranne gli abitanti del posto, venissero allontanati dalla città di Mutare. Un autobus ha trasportato i delegati ad Harare la sera del sabato, mentre noi brasiliani siamo stati portati ad Harare dalla macchina dell’Ambasciata. Il primo autobus, a noleggio, era stato utilizzato dalla polizia di Marange.

Limitazione di una comunità

Definire “area riservata” il territorio comune di Marange, genera numerosi problemi. In primo luogo, ci sono oltre seimila persone che abitano l’area, le cui libertà di movimento, di associazione e di assemblea sono fortemente limitate da questa restrizione, imposta da chi non vive in quella comunità. In tal modo Marange diventa un luogo imprigionato che viene tagliato fuori dal resto del paese. Durante la commemorazione, diversi membri della comunità hanno raccontato storie scioccanti su come erano stati arrestati e torturati mentre allevavano il bestiame o mentre si intrattenevano a bere qualcosa con gli amici nel centro commerciale locale.

Il secondo aspetto del problema è rappresentato dall’incapacità da parte del governo di realizzare i cartelli e le segnalazioni necessari a indicare a chi giunge dall’esterno di trovarsi davanti a un’area soggetta a restrizioni. In realtà, l’area è segnalata soltanto da un piccolo cartello con un avviso intorno alla suddetta limitazione. Il governo presume che tutti sappiano che l’area è limitata. Inoltre, la stessa definizione di limitazione appare poco chiara, visto che, come già detto, oltre seimila persone abitano l’area. Un’altra ambiguità è rappresentata dalla scarsa chiarezza intorno alle misure della superficie interessata, considerando che anche gli abitanti del posto sono sottoposti a torture per sconfinamenti che avverrebbero all’interno della loro stessa comunità.

La violenza contro le comunità colpite dallo sfruttamento delle estrazioni di risorse minerarie continua ancora oggi, ed è aumentata con l’acquisizione di giacimenti di diamanti da parte della nuova società di denominata Zimbabwe Consolidated Diamond Company (ZCDC). Tra le violazioni dei diritti umani commesse a Marange è stato anche registrato il trasferimento forzato di 1.300 famiglie. I nuclei familiari sfollati stanno vivendo una nuova povertà, perché non possono disporre di abbastanza terra per la coltivazione agricola. Il settore minerario, che nel mondo arricchisce poche persone, lascia una scia di violazioni dei diritti umani, di povertà e di distruzione della natura. In Zimbabwe la situazione intorno alle comunità colpite dalle estrazioni di minerali è estremamente grave e richiede sostegno e solidarietà.

Il testo di questo editoriale segue, attraverso la testimonianza diretta di uno dei protagonisti, i fatti avvenuti tra l’8 e il 12 novembre, già riportati dalla rivista presso i seguenti link:

Link 1 (Arresto in Zimbabwe di un gruppo di attivisti)

Link 2 (Sviluppi e rilascio dei detenuti)

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