Torino 35, “Napalm” di Claude Lanzmann: viaggio nella Corea del Nord
Intellettuale di statura internazionale, tra i prinicipali animatori della rivista letteraria “Temps Modernes” fondata da Jean-Paul Sartre nel 1946, a partire dagli anni ’70 Claude Lanzmann si è poi dedicato a tempo pieno al cinema documentario. A lui si devono opere capitali sull’Olocausto come Shoah (1985), Un vivant qui passe (1997) e Le dernier des injustes (2013). In particolare, Shoah, il fluviale documentario (613 minuti) dedicato ad una delle più grandi tragedie del ‘900, è probabilmente l’opera definitiva sullo sterminio degli ebrei durante la seconda guerra mondale.
Napalm è l’ultimo lavoro di Lanzmann e, dopo la première Fuori Concorso all’ultimo Festival di Cannes, approda ora anche al Torino Film Festival, nella sezione “TFF/Doc/Viaggio”. Girato nel 2015 nella blindatissima Corea del Nord di Kim Jong-un, il documentario di Lanzmann è diviso in due parti. Nel primo segmento, il regista viene accompagnato da alcuni funzionari del regime nei pochi luoghi che gli è consentito filmare. La prima tappa del viaggio è una visita al mausoleo di Kim Il-sung and Kim Jong-il dove, sulla collina di Mansu, campeggiano le due enormi statue dei progenitori del nuovo dittatore, peraltro molto amati dalla popolazione, meta di pellegrinaggio ma anche di curiosità per turisti, operatori e persino giovani coppie di sposi. Successivamente, Lanzmann viene accompagnato al Museo della Guerra dove una giovane donna, tenente dell’esercito, gli mostra alcuni trofei appartenenti alla guerra tra le due Coree del 1950-53, che vide la partecipazione degli Stati Uniti, a fianco alla Corea del Sud. Attraverso immagini d’archivio e la citazione di alcuni dati, Lanzmann ripercorre a questo punto la storia del conflitto mostrando i bombardamenti dell’aviazione statunitense su Pyongyang: al termine della guerra si contano quattro milioni di civili morti; gli Stati Uniti hanno sganciato su Pyongyang 4.200.000 bombe (con la media di più di una bomba per abitante) e lanciato 3.200.000 litri di napalm; più del 95% della città è andata distrutta, cancellando gran parte della storia millenaria di un Paese fondato nel 2333 a.C. Infine, a Lanzmann viene consentito di filmare alcuni incontri di taek-won-do.
Il regista racconta di essere stato in Corea del Nord ben tre volte: nel 1958, nel 2004 e nel 2015. La seconda parte del documentario illustra il primo di questi tre viaggi in cui la questione storica cede il passo ad una vicenda estremamente privata che viene raccontata da Lanzmann nel corso di una lunga intervista in primo piano. Nel 1958 egli fece parte della prima delegazione del mondo occidentale, composta da sette uomini, invitata nel Paese dopo la fine della guerra. In quei giorni conosce Kim Kum-sun, una giovane e bellissima infermiera della Croce Rossa, incaricata di praticargli un’inieizione giornaliera, sempre accompagnata da alcuni funzionari del Partito. Un giorno, però, miracolosamente la donna viene da sola ed i due hanno l’occasione di familiarizzare. Il giorno dopo fanno una gita in barca nel corso della quale la donna finisce in acqua e viene salvata grazie alle abilità natatorie dell’allora trentatreenne regista. Naturalmente, la storia è destinata a finire prima ancora di cominciare a causa degli occhiuti controlli del regime, che non poteva consentire l’unione tra un membro del Partito ed uno “straniero”.
Il racconto delicato e struggente, ma con tratti talvolta persino leggeri e divertenti, rivela così allo spettatore il motivo principale del viaggio di Lanzmann, una sorta di proustiana ricerca del tempo perduto dove la celebre madeleine del grande romanzo sulla memoria diventa qui il ponte dove il regista e l’infermiera si diedero appuntamento per trascorrere insieme quell’indimenticabile giornata. Ed indimenticabile per lo spettatore è il momento in cui Lanzmann racconta di come, ad un certo punto, in uno strenuo tentativo di comunicazione, la donna si sollevò la maglietta mostrando il seno e, poco più sotto, una lunga striscia nera causata da una bruciatura. Ignorando ciascuno la lingua dell’altro, i due scoprono allora che “napalm” è l’unica parola che hanno in comune. Tralasciando così, almeno in questa seconda parte, la denuncia dell’orrore universale scaturito dai massacri perpetrati dai popoli in guerra, Lanzmann sceglie di raccontare questa volta un dolore intimo e privato, mettendo a nudo il suo profondo dispiacere di innamorato deluso e costretto ad arrendersi alla forza e alla crudeltà della Storia.
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