Lovecraft, dalla narrativa al fumetto
Accostandosi alla produzione di Howard Phillips Lovecraft si resta colpiti dal contrasto tra la prosa minuziosa che descrive ambienti e scenari storici, rispetto alla scrittura reticente e volutamente parziale con cui l’autore di Providence dipinge i suoi mostri. Dagli Shoggoth de Le montagne della follia all’arcaico dio Yog-Sothoth, ogni elemento fantastico è tradotto in un linguaggio evocativo, che sa suggerire immagini attraverso un processo teso a sottrarre, lasciando alla fantasia del lettore il compito di visualizzare a proprio gusto l’indicibile.
Il Ciclo di Cthulhu è il miglior paradigma di questa operazione, col suo infondere in un contesto reale e riconoscibile degli elementi horror che originano da mondi estranei alla nostra esperienza. “Estraneità”, infatti, è la chiave di lettura di gran parte del lavoro di Lovecraft, in cui il conflitto tra l’umano e il disumano, tra Storia ufficiale e antichissime divinità cosmiche non produce mediazione o catarsi, ma solo una frattura che genera repulsione senza fine.
Parrebbe dunque un’impresa impossibile pensare a un adattamento dei testi lovecraftiani dalla pagina scritta al fumetto, linguaggio che basa la propria forza sulla rappresentazione visiva. Il mondo dei comics, invece, non è sprovvisto di risorse e travalicando i limiti della figurazione più classica ha prodotto nel corso del tempo degli esempi degni di nota.
La dicotomia in cui convivono realismo e visionarietà ha dato frutti diversi, orientati su corde espressive ora tradizionali, ora più cariche di sperimentalismi. La Bande Dessinéé francese, dalla metà dei ’70 è stata il vessillo di rivoluzioni formali che hanno portato il fumetto alle vertiginose tavole di Philippe Druillet e Moebius. Questo discorso deflagrato con la rivista Metal Hurlant, ha attinto in modo più o meno diretto dalle creazioni ultradimensionali di Lovecraft, rievocandone la morfologia in storie allucinate e spesso iconoclaste. Per qualche curiosa ragione, il tributo al Maestro dello speciale settembre ’78 (apparso in Italia 4 anni dopo), si è orientato, invece, verso direzioni diverse, strade in cui il mistero archeologico, la ricostruzione d’epoca e il clima da ghost story hanno preso il sopravvento.
La scelta è evidente nel lavoro di Daniel Ceppi o Dominique Hé, ideali prosecutori della linea chiara di Hergè e E. P. Jacobs, mentre si veste di sfumature accademiche alla Alex Raymond nel segno barocco di Yves Chaland. Nelle pagine de La Cosa, Alain Voss utilizza la sua grafica plastica e grottesca per tuffarci dentro un’avventura claustrofobica nelle profondità di un cimitero e Nicole Claveloux affronta l’enigma del mondo felino, tanto amato da Lovecraft, in una storia sospesa e lunare, carica della stralunata poesia che anima il suo stile fiabesco. Dopo le deviazioni comiche di Frank Margerin e la biografia underground di George Kuchar, sul fronte più onirico troviamo le tavole di Alla ricerca di Kadath di Truchaud e Perron che ricostruiscono con piglio enciclopedico i viaggi nel mondo del sogno di Randolph Carter.
Infine per calarsi più fedelmente nell’universo delirante di Lovecraft, le tavole a colori di Nicollet ricorrono alle consuete atmosfere tra il surreale e il metafisico per costruire un breve viaggio nell’incubo, non privo d’ironia.
In Italia, in concomitanza alle trasposizioni di Poe, Bierce e Stoker degli albi americani della Warren comics, il nostro fumetto d’autore più sofisticato realizza il suo omaggio a Lovecraft attraverso i pennini di Dino Battaglia sulle pagine del mensile “Linus” nel febbraio 1970. Battaglia, già autore di splendide interpretazioni dei racconti di E. T. A. Hoffmann, Stevenson e Shiel, si accosta alle tematiche care al solitario di Providence con una storia ispirata alla città ibrida di Innsmouth, i cui abitanti sono stati sostituiti da oscene creature ittiche. La linea tanto fragile e spezzettata di Battaglia illustra il perdersi nella notte americana di un commesso viaggiatore, destinato a essere testimone di una processione pagana, tra le nebbie e la pioggia che aleggia nei chiaroscuri tipici dell’autore. Col grande disegnatore di Venezia, Lovecraft è restituito all’incertezza di forme inafferrabili, di atmosfere malsane e nascoste, una sorte che prenderà corpo in un progetto più ampio realizzato nella metà degli anni ’70 dal disegnatore argentino Alberto Breccia, ossia I miti di Cthulhu.
Sensibile inventore di un immaginario visivo fatto di ombre, ambiguità e contrasti, col suo segno drammatico e l’uso delle luci vicino al cinema di Murnau, l’autore originario di Montevideo si accosta all’opera di Lovecraft dopo le eccellenti prove grafiche fornite con le serie Mort Cinder e L’Eternauta. I testi originali dei racconti sono adattati con fedeltà dallo sceneggiatore Norberto Buscaglia, mentre lo stile delle tavole, sempre improntato a una forte tensione espressionista, si muove con libertà sperimentando vari registri narrativi e tecniche che mischiano mezzatinta, collage e monotipo.
Incontriamo così il segno ruvido alla Daumier che illustra L’orrore di Dunwich, le stilizzazioni de La ricorrenza fino al puro delirio informale de Il colore che cadde dal cielo e lo sperimentalismo di Colui che sussurrava nelle tenebre, lavoro di sintesi in cui le modalità grafico-pittoriche incrociano medium diversi in un pastiche perfetto per raffigurare il clima inquietante del racconto.
Da Breccia a Wrigthson a Corben, la potenza dell’universo di Lovecraft rinverdisce con l’abito contemporaneo delle graphic novel di I. N. J. Culbert, col suo The Case of Charles Dexter Ward del 2012 e il precedente Neonomicon di Alan Moore e Jacen Burrows. La prosa di HPL è una sfida, è un mito, è un mondo ancora da esplorare appieno. Il profilo dei suoi orrori ultraumani non ha ancora trovato la gabbia di un ritratto definitivo.