Fantasmi cosmopoliti

Con l’uscita di Onryo, avatar di morte sono state messe in discussione almeno un paio di opinioni. La prima è che una collana di fantascienza pura come Urania non potesse ospitare anche buone storie gotiche, l’altra è che la tecnologia abbia reso obsoleto il sovrannaturale togliendogli spazio e soprattutto credibilità.
Le apparizioni di Onryo dimostrano che un mondo super-monitorato come il nostro contiene ancora molte cose nascoste alla vista.
Cose terribili. Cose di cui preferiremmo ignorare l’esistenza.
I fantasmi continuano ad accompagnarci. Silenziosi, sfuggenti, abbarbicati a questo piano di realtà, agiscono attraverso il tempo pronti a distruggere barriere fisiche e geografiche. Come la distanza che ci separa dal lontano oriente e dai suoi luoghi letterari, che trovano in dodici autori di diverse sensibilità un terreno comune di dialogo.
Come tutte le imprese difficili, anche il progetto-Onryo ha avuto una gestazione lunga e ponderata, che nasce in casa Mondadori ben cinque anni prima dell’effettiva uscita in edicola.

La proposta del compianto Alan Altieri, mirata a collocare l’antologia nella collana “Epix”, ha visto coinvolti due curatori di tutto rispetto, ovvero Massimo Soumaré, scrittore, traduttore e grande conoscitore del milieu letterario giapponese, insieme a Danilo Arona, prolifico scrittore e giornalista di navigata esperienza.
Dalla messa a confronto dei due mondi sono germinate una serie di storie assai legate ai propri territori di origine, ma con interessanti punti di contatto. Le simmetrie non mancano: tematiche, stilistiche e strutturali, ma soprattutto umane, attraverso lo sgomento dei propri interpreti che reagiscono con simile fragilità al contatto con l’impossibile. Fondamentale cesura tra aree così diverse è proprio il racconto di Soumaré, che grazie alla propria competenza di orientalista ambienta con efficacia un intreccio tra la Torino contemporanea e il Giappone del Periodo Edo. In Barocco kaidan il protagonista torinese confonde la normale quotidianità col destino maledetto di un ronin, un samurai senza padrone, scoprendo gradualmente di essere vittima di un’inevitabile, nonché ciclica, rovina dalle origini remote. Il racconto di Masako Bandô propone invece uno spaccato di vita tutta nipponica che ci avvicina a una realtà contadina dalle sfumature culturali ancora tinte di arcaico. La limpida e profonda scrittura della Bandô riporta fedelmente l’incontro fra tradizione e mistero. Il fantastico entra nel suo La voce del cadavere proprio allacciandosi alle credenze popolari e ne chiude il cerchio narrativo tramite l’humus vitale che alimenta (o produce) gli spettri, ossia il senso di colpa. Nelle pagine di Fobia, Samuel Marolla utilizza una figura problematica che proviene dal moderno Giappone metropolitano, lo “hikikomori”. Collocando questo auto-recluso in una storia fitta di suspense e colpi di scena inaspettati, Marolla fa strada a un incubo che si manifesta sul web. Ogni apparenza nasconde un sofisticato gioco di inganni e l’elemento sovrannaturale è la catarsi che risveglia il protagonista, isolato nel suo mondo claustrofobico.

La contaminazione tra horror e fantascienza con sfumature lovecraftiane è al centro del racconto di Masahiko Inoue, Il caso del bagno Odoro. Con uno stile moderno e asciutto, Inoue ci introduce ai segreti di un luogo della memoria, la sala da bagno del titolo, alla quale fa ritorno il nostalgico protagonista per scoperchiare un’invasione silenziosa che stravolge la realtà del quartiere affacciato sulla via dei Cavalli di Legno.
Del tutto sospeso in una dimensione dall’atmosfera onirica, Antracite di Alessandro De Filippi manipola in maniera abile pulsioni e fascinazioni invisibili, (da buon psicanalista junghiano) portando il lettore al cospetto di apparizioni che vivono tra i resti di una struttura industriale, in cui gli stessi macchinari abbandonati diventano agenti meccanici e surreali di uno sconfinamento su un mondo altro. Un diverso approccio al tema, rispetto ai toni sfumati di De Filippi, viene dalla scrittura nervosa di Stefano Di Marino, action writer incalzante e sanguigno, pronto a catapultarci con una prosa fortemente visiva nell’incubo di Il cacciatore di figli posseduti. E’ impossibile non lasciarsi prendere dal vortice degli eventi che egli orchestra nella sua vicenda, impregnata di leggenda, nel solco della tradizione narrativa dei predestinati diabolici, a cui si oppone la forza di un emissario del Bene dai tratti inquietanti, privo di ogni pietà.

Altro picco d’eccellenza nell’antologia, è di certo il bellissimo La madre del Kudan di Sakyo Komatsu, figura di prima grandezza nel panorama fantastico giapponese. Raffinato autore, padrone di una lingua di alto profilo artistico, Komatsu dipinge uno scenario bellico triste e realistico, in cui le sfortune di una famiglia povera portano i protagonisti a entrare in contatto con un segreto nascosto nella casa che pietosamente gli offre rifugio. Lì, mentre gli echi del conflitto scivolano in uno sfondo indistinto, una creatura dalla natura incantata apre squarci rivelatori sull’esito della guerra in corso.

Più rassicurante nello scenario, ma altrettanto inquietante nello sviluppo, il racconto della scrittrice Nanami Kamon colloca tra le mura di una scuola l’incontro con un ritornante. In Una storia vera, l’istituto animato dalle rivalità e dai crudeli rituali delle adolescenti acquista una valenza ostile insidiando la vita dei suoi occupanti, descritti con un attento scandaglio psicologico. La realtà si sgretola quando le dicerie paurose delle studentesse si rivelano qualcosa più di uno scherzo lasciando affacciare una minaccia che porta il gioco a delle tragiche conseguenze

La vendetta è sempre un’ottima ragione per tenere la morte in stand-by. Angelo Marenzana, proveniente dal noir e ben a suo agio in trame dai risvolti gialli, organizza la propria storia all’interno di una detection che si consuma approdando al paranormale. La donna dai capelli ramati ruota tutto intorno al riuscito contrasto tra la banalità del quotidiano e l’evento inspiegabile che ne contraddice ogni regola.
Hiroko Minagawa ha legato la sua attività alla narrativa per ragazzi, non a caso Chiarore lunare ha i toni crepuscolari di uno sguardo rivolto al passato, dove la presenza della misteriosa bambina Ayako, conduce il protagonista in un viaggio a ritroso nel tempo per andare incontro al proprio destino. Altrettanto elusivo nella sua cornice notturna, Paura dal monte degli Dei di Yoshiki Shibata ci accompagna in un viaggio in cui l’attore Ichitaro Takamura si ritrova ospite suo malgrado in una rappresentazione delirante. Spettatori occulti, gli Dei provenienti dal Paese di Yomi, il paese dei morti, e i morti stessi.

Danilo Arona, infine, mescola nelle pagine di Vale va bene un’intensa serie di temi perfettamente calibrati in una vicenda profondamente umana di cui è interprete il musicista Morgan Perdinka. E’ impossibile non lasciarsi prendere dall’atmosfera del locale fumoso in cui Perdinka si lascia sedurre dal fascino di una sconosciuta, la “Vale” del titolo. Nostalgia, paura della solitudine e della morte, il valore salvifico della musica e l’amore che attraversa ogni barriera fisica fanno da sfondo a una narrazione ruvida, calda, evocativa, nella tradizione del miglior Arona, capace di inserire nelle nebbie della provincia gli echi spaventosi di un mondo vivo e palpitante, a un passo dalle nostre sicurezze.

Onryo termina il suo percorso senza rassicurare. Forte delle sue identità multiple, rimodella vecchi canovacci in prodotti nuovi, in grado di interessare il lettore e fargli affrontare la zona del crepuscolo del conosciuto, l’area cieca di tutte le telecamere.
Che i nostri occhi siano tondi o a mandorla, infatti, quando la luce si spegne restano fissi sull’enigma che non ha mai smesso di turbarci dall’antichità.
Il buio.

Onryo, avatar di morte, autori vari Mondadori , 2012

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