Ore 15,17 – Attacco al treno: Clint Eastwood, l’ultimo dei minimalisti
Il film è il racconto dei fatti del 21 agosto 2015 quando tre ragazzi statunitensi sventarono l’attacco terroristico di un miliziano dell’ISIS, armato fino ai denti, sul treno Thalis, partito da Amsterdam alle 15,17 con destinazione Parigi. Il regista Clint Eastwood ha scelto di rendere interpreti di quegli eventi gli stessi protagonisti della vicenda: Spencer Stone, Alek Skarlatos e Anthony Sadler.
Spiazzante. È questo il primo aggettivo che viene in mente nell’analisi di un’opera come Ore 15,17 – Attacco al treno, trentaseiesimo lungometraggio di finzione di Clint Eastwood, cineasta prezioso e straordinario, che si dimostra ancora una volta autore versatile ed eclettico, capace di lasciare di stucco a ogni nuova opera. Considerato uno dei massimi alfieri di un cinema virile, con una filmografia infarcita di titoli che spaziano dal western al film di guerra, dal genere di avventura all’action movie, il regista californiano, in realtà, ha dimostrato da tempo di essere un autore a tutto tondo, tra i più grandi di tutti i tempi, capace di passare dalla biografia del grande jazzista Charlie Parker (Bird) a raffinate opere psicologiche come Mystic river e lo splendido e sottostimato Mezzanotte nel giardino del bene e del male, di saper maneggiare la Storia con opere come Invictus (altro esito sublime, accolto con eccessivo sussiego) e J. Edgar, senza rinunciare a incursioni nel fantastico (Hereafter), a misurarsi persino con il musical (Jersey Boys ma anche il documentario The Blues stanno lì a ricordarci che Eastwood è anche compositore), e regalando almeno due indimenticabili ritratti femminili nei magnifici I ponti di Madison County e Changeling.
Tutti questi lavori hanno consentito al regista di conquistare anche il cuore di molti scettici che da sempre non vedono di buon occhio le sue dichiarate simpatie per il Partito Repubblicano e tendono troppo spesso a sovrapporre le sue idee politiche con i suoi risultati artistici. Al di là dell’eccessiva semplificazione di un pensiero e di una visione del mondo, quelli eastwoodiani, molto più complessi di quanto appaiano, a chi si accontenta di scorciatoie che tralasciano la complessità basterebbe ricordare come il delirante antisemitismo di Louis-Ferdinand Céline non abbia impedito allo scrittore francese di Viaggio al termine della notte di essere uno dei massimi innovatori linguistici del ‘900 e, per restare nell’ambito del cinema, non bisognerebbe dimenticare che uno dei massimi geni della settima arte, David Lynch, non ha mai fatto mistero delle sue simpatie per Ronald Reagan. Insomma, il cinema di Clint Eastwood, e Ore 15,17 – Attacco al treno sta lì a dimostrarlo, è capace di costruire mondi profondi e non lineari, indomito nella sua capacità di sorprendere con continui detour rispetto alla norma, tali da rendere il “testo” eastwoodiano estremamente sfaccettato e, per certi versi, inafferrabile nella sua fertile ambiguità.
Nel raccontare la storia dell’attacco terroristico sventato da tre giovani americani, pur non mancando né di mezzi né di talento per una messinscena sontuosa e potente, in questo suo ultimo film l’autore di Gran Torino sceglie invece una narrazione piana e priva di orpelli. Nell’incipit, egli ci mostra l’attentatore che va al suo appuntamento con la morte, soffermandosi su piccoli dettagli (le dita che scorrono su un corrimano, i passi verso la stazione) con un rigore e un’economia di gesti quasi bressoniani, totalmente atipici e avulsi rispetto al classicismo dell’autore. Successivamente, il racconto si concentra sull’infanzia dei tre protagonisti, amici da sempre, descrive il loro background religioso, la loro passione per le armi, la loro difficoltà di integrarsi, in uno stile sobrio che fanno di questo primo, fondamentale segmento del film una sorta di piccolo trattato di sociologia. Come suggeriva Roberto Silvestri in un suo acuto intervento, sembra di trovarsi di fronte a La sanguinaria di Joseph H. Lewis, girato però da Roberto Rossellini. Con grande sottigliezza ed intelligenza, questa parte serve a mostrare come i tre ragazzi (ma con particolare riferimento al biondo Stone), refrattari alle regole e insofferenti verso la disciplina, finiranno per inseguire la carriera all’interno di un’istituzione (l’esercito) che, facendo della disciplina la sua essenza, viene visto e poi vissuto come luogo di integrazione e di riscatto. Sospinto dall’ambizione di rendersi utile e di salvare vite umane, Stone mostra come l’evento del 21 agosto possa essere letto, ambiguamente, come una strana coesistenza di caso e necessità, frutto naturalmente imprevedibile eppure quasi inconsciamente voluto.
Meravigliosamente naïf, Ore 15,17 – Attacco al treno sembra quindi occupare nella filmografia di Eastwood lo stesso posto che hanno Io e te, Redacted e Twixt nel corpus registico di Bernardo Bertolucci, Brian De Palma e Francis Ford Coppola che, non più giovanissimi, sperimentano narrazioni in piccoli spazi chiusi (nel caso di Bertolucci) o dialogano con le nuove tecnologie, il digitale, la stereoscopia (nel caso dei due autori protagonisti della “New Hollywood”), mostrandosi attenti allo sviluppo dei nuovi media e dei moderni strumenti di riproduzione delle immagini, approcciati quasi da neofiti. Allo stesso modo, Clint Eastwood sceglie di mettere la sordina al suo brio registico e di lasciare campo libero ai suoi interpreti non professionisti mettendosi totalmente al servizio di una storia che appare, per certi versi, una nuova declinazione dei due pilastri statunitensi costituiti da Dio e dalla Patria, già affrontati dal regista in opere dal respiro ben più ampio. Stone e, in misura minore, Skarlatos, appaiono come il rovescio della medaglia del cecchino Chris Kyle di American Sniper in quanto il loro scopo è salvare piuttosto che uccidere, di farsi “strumenti di pace”, come recita la Preghiera semplice, celebre componimento di autore ignoto, attribuita a Francesco d’Assisi, piuttosto che dispensatori di morte.
Per questa ragione, si capisce anche la parentesi del viaggio in Europa, all’apparenza così debole e rabberciata ma (soprattutto l’eccessiva insistenza, nella parte italiana, sulla “perversion night”, continuamente evocata e raccontata in due battute successive senza che di questa venga mostrato allo spettatore nemmeno un fotogramma) ma nella quale non mancano almeno un paio di momenti importanti: la visita al Colosseo, presentato come ennesimo luogo di combattimento che evoca in maniera simbolica gli eventi che seguiranno, e quella al luogo del bunker di Adolf Hitler che ci regala un formidabile momento sulla concezione della Storia da parte degli americani, dominata da una creduloneria talmente smaccata da suscitare, allo stesso tempo, rabbia e tenerezza.
Eccentrico e sbilanciato, Ore 15,17 – Attacco al treno si presenta quindi come un’opera preziosa e straordinariamente libera, forse il film più apertamente teorico di un regista che, ormai al giro di boa degli ottantotto anni, può permettersi una sorta di ennesimo sberleffo a chi ancora si ostina a rinchiuderlo e irrigidirlo in uno stereotipo, presentandosi sulla scena come l’ultimo dei minimalisti.
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