Karol Wojtyla santo, a dispetto di
La santificazione è una fase politica. L’ultima, quella che i vivi fanno diventare azione per conto dei morti. Ambroce Bierce ha scritto che “canonizzare vuol dire prendere un peccatore morto e farne un santo”. I luoghi aperti sopra le emotività collettive fondano la loro durata su pilastri indistruttibili.
La chiesa cattolica provvede all’ennesimo ossequio alle estasi della modernità, attraverso il transito antico dell’assegnazione del grado massimo di perfezione post mortem. Karol Wojtyla santo, nel perfetto rispetto del programma di restyling che il cattolicesimo ha iniziato dalle dimissioni di Ratzinger all’elezione di Bergoglio. L’Ecclesiaste viene tradotto nella contemporaneità, applicando il verbo della vanità come compimento della vita di un capo della chiesa nel ricongiungimento con l’acclamazione collettiva del suo seguito generale.
Uno dei papati più trasversali della storia contemporanea risolve l’enigma del vero miracolo del potere religioso, la fondazione del potere politico e di quello spirituale. La morale andrebbe dunque distrutta, pezzo per pezzo, perché anch’essa corrotta, introdotta definitivamente nella parzialità del racconto umano prestato ai giudizi della storia? Un popolo intero sta ancora chiedendo spiegazioni sulle forti resistenze incontrate da una parte della chiesa stessa da chi, invece che deliberare la pericolosità della Teologia della Liberazione, avrebbe dovuto interrogarsi sull’opportunità storica di fondere due mondi, a lungo divisi dalle politiche colonialiste, in un incontro ideologico senza precedenti. Invece? L’America latina per qualcuno ha soltanto rappresentato il luogo di un’altra forma di conquista, quella dell’audience clericale.
La santificazione di Wojtyla, a dispetto della “paradossale” triangolazione del triplice papato che ha visto Wojtyla contrastare le idee di una parte della chiesa sudamericana, proprio attraverso una commissione, allora presieduta da Raztinger, papa dopo di lui, e Bergoglio, primo papa sudamericano, succeduto a un dimissionario dipinto come il più feroce dei conservatori, ma che, invece, non ha fatto altro che aumentare i sospetti che il suo compito dovesse essere quello di gestire al meglio una fase transitoria.
Karol Wojtyla santo, a dispetto di sacerdoti, di frati francescani, di religiosi appartenenti a ogni ordine, rimossi o allontanati sotto il papato di Giovanni Paolo II solo perché “colpevoli” di aver cercato di introdurre un modello che potesse andare incontro a una parte sorgente e insorgente di un mondo che ancora oggi, nonostante le sue difficoltà, rappresenta il solo umanesimo possibile. A detta di Navarro, Wojtyla non ha avuto il tempo di agire con fermezza sugli scandali dei preti pedofili. Per i religiosi col pensiero indipendente il tempo c’era stato. Allora si deve tutto al caos cronologico dei fatti.
Wojtyla santo, a dispetto di Leonardo Boff, di Raul Vera Lopez, a dispetto di un movimento religioso vissuto quasi in clandestinità, e molto più prossimo alle miserie popolari di quanto non lo sia il potere centrale clericale. Wojtyla santo, a dispetto di un’ambiguità politica senza precedenti. Quella di una chiesa che durante il suo papato ha lasciato trasparire, condannando le “derive” marxiste che avrebbero potuto prevalere sulla dottrina teologica se la Teologia della Liberazione fosse stata diffusa con un qualche genere di riconoscimento ufficiale, operando, allo stesso tempo, per la caduta del muro di Berlino, e, soprattutto, facendolo non per restituire al mondo un genere di libertà, ma per dirigere il crollo delle macerie. Da una parte, la chiesa ha dichiarato la necessità dell’estraneità alle morali popolari di natura socialista, dall’altra si è introdotta nelle mistificazioni di un avvenimento che si è rivelato soltanto lo strumento per ridisegnare le periferie del mondo, e non per recuperarle.
Wojtyla santo a dispetto del caso Ior – Banco Ambrosiano, Wojtyla santo, a dispetto del suo saluto a Pinochet. I santi di un tempo andavano incontro alle sventure, lo diceva pure Novalis. Chissà che i potenziali santi di oggi con le sventure non abbiano un altro rapporto. Sarà iniziata una nuova forma di concertazione. Georges Bernanos ha scritto “Dio ci scampi anche dai santi!”.