Riflessioni sulla musica e sul tempo in un’intervista a Joe Amoruso
Joe Amoruso è uno tra i più grandi musicisti napoletani viventi. La sua musica ha avuto e ha un valore di livello internazionale. Nato alle falde del Vesuvio, a Boscoreale, rivela molto presto il suo talento. La sua carriera dice di iniziazioni a un genere che ha fatto epoca, quello della Napoli musicale dedita alle sperimentazioni e alle fusion di matrice jazz e blues, con forti venature pop. Joe Amoruso ha suonato con Bob Berg, Nana Vasconcelos, Gato Barbieri. Di grande successo il sodalizio con Napoli Centrale. Le numerose collaborazioni con grandi musicisti e le performance in molte manifestazioni musicali fanno di Joe Amoruso un punto di riferimento della musica internazionale.
Joe, perché oggi nella musica il divario generazionale tra chi seguiva la sua musica e le nuove temperie si è allargato così tanto? Il ventenne del duemila sembra molto diverso da quello degli anni ’80.
“Molto è dipeso dagli svantaggi della tecnologia. L’avvento dei nuovi linguaggi ha fatto sì che non ci si potesse più confrontare di persona. Si è indebolito il dibattito live. C’è più pigrizia, anche mentale. È tutto più piatto. Dalla fine degli anni ’90 è nata una nuova mentalità. Forse avremmo bisogno di una nuova tradizione. Forse le ragioni di questo cambiamento sono da ricercare anche nei cambiamenti evoluzionistici. Paradossalmente questa strana forma di libertà rischia di minare la vera libertà. Siamo ingabbiati, perché è tutto diretto al profitto, in un grande circuito di artificiosità.La musica di oggi mira alla creazione e al lancio di meteore. Nasce un presunto talento, lo vedi in tv, lo ascolti in radio per un po’ di tempo, e poi scompare. Tutto questo nelle giovani generazioni suscita un sistema di aspettative effimero, che fatica a creare il giusto collegamento tra l’artista e l’uomo che c’è dentro la sua arte. È importante che ci sia anche controinformazione su questo, che l’artista possa maturare soprattutto attraverso il pubblico.”
Quindi, cosa le piace di quello che resta e cosa invece le dispiace di più?
“La musica si sta affidando a una maniera discutibile di produzione. Un modo malato. Il mercato sta crollando. Questo non mi piace, è l’essersi affidati a certe modalità pericolose prima di tutto per l’arte, rischiando che diventi tutto un grande rumore.”
In mezzo a questo rumore, come reagisce la musica? Aveva ragione Georges Braque, che ha accostato la musica al silenzio. E non è stato il solo.
“La musica, la vera musica, ne soffre. È vero, è un’epoca rumorosa, di rumore dentro. Un rumore che non fa bene. Siamo in un corto circuito che ha aggredito la spiritualità. Sta prevalendo un sistema di forze demenziale e demoniaco. Manca lo “spirito di opposizione”, e tutto questo genera più ignoranza. Il silenzio? Nella musica è proprio il silenzio a fare la differenza. Il grande musicista è quello che sa maneggiare il silenzio, che sa come condurre le pause. Il silenzio è vitale per la musica. In fondo, questa è una mia speranza, nella quale confido con ottimismo, questa è solo un’epoca di passaggio. Dobbiamo vivere con intelligenza questa transizione.”
Pare che una volta Thomas Mann abbia detto: “Il tempo non ha nessuna divisione visibile che ne segni il passaggio, non una tempesta con tuoni, né squilli di tromba che annuncino un nuovo mese o un nuovo anno. Persino quando inizia un secolo nuovo siamo noi mortali a suonare le campane e a sparare in aria con le pistole”. La musica di Joe Amoruso, come ogni tentativo di dare un volto a un genere di spiritualità, bada poco ai miraggi del tempo confinato dentro un momento che vada sotto il nome di giorno, di lustro o di secolo. Meglio aspettarsi che il dopo non sia in disaccordo col prima, e che il meglio accada nel durante.