Intervista ad Antonio Grimaldi su “Il Baciamano”
Il Teatro Comunale Diana di Nocera Inferiore ospita i quattro appuntamenti che compongono la rassegna diretta da Antonio Grimaldi, regista e attore della compagnia del Grimaldello.
Di segnato tempo è il titolo che battezza il cartellone delle seguenti rappresentazioni:
Il baciamano, un testo di Manlio Santanelli messo in scena dalla compagnia del Grimaldello (sabato 24 gennaio, ore 20.30)
Vietato Porno Amen,
a cura di Antonio Grimaldi in libero riadattamento di Salò e le 120 giornate di Sodoma, di Pier Paolo Pasolini (venerdì 30 gennaio, ore 20.30)
WWW.TESTAMENTO.EACAPO, scritto, diretto e interpretato da Luca Trezza (sabato 31 gennaio, ore 20.30)
Paolo Borsellino – L’ultimo istante, dalla regia di Igor Canto e di Cristina Recupito (sabato 7 gennaio, ore 20.30)
Su Il Baciamano ci siamo soffermati con Antonio Grimaldi.
Da cosa si origina la necessità di realizzare “Di segnato tempo”?
C’è una parte di me che s’interessa al territorio, al di là delle sue condizioni. Il passaggio su questo territorio, anche oltre la sua stessa identità, può avvenire col tentativo di operarvi. La mia intenzione è farlo a prescindere, ma con spirito di adattamento, senza curarmi delle sue stesse resistenze, dei luoghi ostici che lo caratterizzano. Il luogo diventa un mezzo per realizzare un’idea e per fare esperienza delle sue sollecitazioni.
Il Baciamano è ambientato nella Napoli rivoluzionaria del 1799. In quel periodo la città è un crocevia di eventi e di personaggi destinati a lasciare un segno indelebile nella storia partenopea. Ferdinando IV, Maria Carolina d’Asburgo, Carlo Lauberg, la fondazione delle repubbliche, Horatio Nelson, John Acton, i tremila “lazzaroni” assassinati, le rappresaglie della “restaurazione” borbonica e tante altre figure significative. I protagonisti del Baciamano testimoniano questo contesto?
Nella penna di Manlio Santanelli lo fanno. Il legame s’intuisce chiaramente. Nel mio riadattamento questo legame viene rimosso. Usando una metafora estrema, ho cercato di condurre il Baciamano in una sorta di sala operatoria, quasi un obitorio, dove ho analizzato il suo corpo ripulendolo da tutto quanto a mio avviso superfluo rispetto alla salvaguardia del suo sentimento e della sua passione.
La rivoluzione napoletana in qualche modo rappresenta una città contro se stessa, una Napoli contro Napoli. I suoi personaggi, rispetto all’opera di Santanelli, sono personaggi contro?
La Janara possiede un cuore buio, dove l’unico spiraglio di luce è un giacobino che diventa occasione per soddisfare i suoi desideri, per assecondare le sue perversioni, in un atto finale che raccoglie tormenti e contraddizioni. È come se nello stesso rapporto fossero conservati i favori e i contro.
Una metafora della città? Di ieri e di oggi?
Può darsi. Ma tutto rientra nelle facoltà e nelle possibilità di una donna che non si cura di vivere in una grotta, e che si concentra sul suo giacobino come unico destinatario delle sue attenzioni.
Secondo alcune ipotesi storiche, pare che nella Napoli di quegli anni si praticasse addirittura il cannibalismo. Quel cannibalismo, in via del tutto allegorica, esiste ancora? E se esiste, dove è finito?
Di sicuro esiste ancora in bocca alla Janara.
La Janara di Santanelli, e più ancora la sua Janara, è rimasta inchiodata a quel periodo o è riuscita a sopravvivervi per frequentare anche il nostro tempo? C’è una Janara della modernità?
Esiste. C’è. Forse è più difficile da scovare. Probabilmente è cambiata la sua estetica, si mostra sotto altre sembianze. C’è ancora il suo spirito, uno spirito atemporale, ancestrale. Qualcosa che è come se fosse sempre esistito.
Santanelli ha scritto che “il miglior teatro di evasione si fa nelle carceri”. Secondo lei? E quali sono queste carceri?
Una volta, a Pontedera, ho potuto sperimentare, sia pur da osservatore, le sensazioni che un luogo come questo possono trasmetterti. Persino i suoni, le voci, sembrano tradotte in modo diverso. È ovvio che ognuno, al di là del carcere in quanto luogo, può sentirsi in una prigione. Tutto, poi, dipende da quali misure e da quali reazioni vengono adottate per adattarvisi.
Oggi c’è ancora chi aspetta un baciamano? Ammesso che sia abbastanza per riempire una speranza.
Le cose non bastano mai. Niente è abbastanza. Se c’è qualcuno che lo aspetta, va bene così. A me sta a cuore soprattutto che un giorno qualcuno, anche qualcuno che non conosco, tra tanti anni, possa ricordarsene, magari ricordarsi del mio stesso Baciamano. Mi basta confidare in questo tipo di attesa.
Antonio Castronuovo ha definito il bacio “un morso addomesticato”. Se Gesù di Nazaret fu tradito da un bacio, non è ancora arrivato quel tempo utile a comprendere se, nel caos delle ambiguità, anche un morso serbi aspirazione di essere salvifico.