Il Mangianastri – Catena/ Mario Abbate
di Alfonso Tramontano Guerritore
«Ora ci sta il terremoto, in carcere». Così mi dissero, mentre seguivo le immagini di uno strano film. E come accade quando sei piccolo, e non sai bene i sensi delle cose, e non cerchi risposte e spiegazioni ma solo il cuore, la parte migliore, aspettai. Vidi una donna nuda chiamata come la buccia di un frutto, poi uno strano americano dai capelli ingellati, e intorno gente che parlava napoletano, dentro le celle e fuori, nel cortile di un carcere e per strada. E la Napoli degli anni ottanta. In quel film ci stavano un sacco di morti. «E’ la storia di Raffaele Cutolo». Un nome che tutti pronunciavano sottovoce, come se qualcuno potesse sentire, come se pronunciarlo fosse una mancanza di rispetto. La scena del terremoto, quello del 1980, succedeva in carcere, con i malviventi a scatenare una mattanza in mezzo al caos, uccidendo quanti più nemici possibile al comando del boss di Ottaviano. «Quest’occasione ce la manna o’pataterno», gridava uno dei detenuti, e via con lame e coltelli, e cadaveri su cadaveri. Il cuore di quella storia, di quella pellicola, l’ho capito con gli anni. Non è il terremoto. E’ il cuore di Franco Tiano, artista di Pagani, cantante e musicista, attore e girovago devoto alla Madonna delle galline. Dalle mura del carcere quest’uomo dal viso da uccello, per tutti “L’Africano”, in una scena di strazio e morte intona l’antica nenia napoletana. La canzone parla di prigionia, di dolore e dipendenza. Parla d’amore. Parla di libertà, mentre tutto crolla e il sangue non si conta, in mezzo agli assassini e ai tradimenti. Tra le rovine del mondo, Franco canta, e la sua voce supera il mare. Supera la morte.