Venezia 75, giorno 5: l’amica di Saverio Costanzo è geniale, il Concorso un po’ meno
Siamo arrivati ormai al giro di boa di questa 75° Mostra del Cinema: mentre scriviamo, infatti, sono stati presentati alla stampa internazionale undici dei ventuno titoli in lizza per il Leone d’Oro. Sino a questo momento non sono mancate le delusioni nei confronti di una selezione che, sulla carta, schierava alcuni dei più grandi assi del cinema internazionale, un vero e proprio parterre de roi che non si è sempre dimostrato all’altezza delle aspettative dei cinefili accorsi al Lido da tutto il mondo. Tra l’altro, proprio quest’anno l’impressione (per non dire la certezza) è che vi sia un numero decisamente maggiore di presenze rispetto agli scorsi anni, tanto che molti degli accreditati cosiddetti “culturali” (i cosiddetti cinéphiles) hanno trovato spesso la porta sbarrata a causa delle sale già piene. E questa, al di là del livello altalenante dei film presentati, è un’ottima notizia. Tra i film già passati, un consenso quasi unanime ha raccolto il bellissimo ROMA di Alfonso Cuarón (dato tra i favoriti per il massimo premio, che potrebbe giovarsi della Presidenza del connazionale Guillermo Del Toro), così come altrettanto plebiscitaria è stata la stroncatura del pessimo The Mountain dell’inglese Rick Alverson, film sulla psichiatria ambientato negli Stati Uniti degli anni ’50, che lascia a briglia troppo sciolta i due protagonisti Jeff Goldblum e Denis Lavant, che affiancano un monocorde Tye Sheridan. Molto riusciti, sebbene decisamente al di sotto degli standard elevati delle opere precedenti dei rispettivi autori, i nuovi film di Olivier Assayas (Non-Fiction) e di Joel e Ethan Coen (The Ballad of Buster Scruggs). Il regista francese ha realizzato una deliziosa ronde sentimentale che, attraverso dei bellissimi dialoghi, riflette sui tempi moderni e i nuovi media, analizzando con intelligenza e buonumore il rapporto tra arte e nuove tecnologia alla luce dell’evoluzione e dei cambiamenti del mercato culturale, mentre i geniali fratelli di St. Louis Park hanno portato qui al Lido un film a (sei) episodi targato Netflix, che è quel che resta di un progetto di serie TV di genere western ormai tramontato. Sebbene diseguali e non tutti ugualmente riusciti, le sei “strisce” costituiscono un omaggio al più classico dei generi hollywoodiani riuscendo, nel contempo, a ragionare sul mito della Frontiera e a mettere in scena una riflessione sulla morte, nella quale il registro comico si alterna con momenti di dolente malinconia.
Tra gli autori da cui era lecito aspettarsi qualcosa in più, possiamo citare Mike Leigh e Roberto Minervini, registi rispettivamente di Peterloo e What You Gonna Do When The World’s On Fire?. Come nel precedente, bellissimo Turner, Leigh esplora l’800 inglese costruendo un sontuoso affresco storico che ruota intorno al massacro che ebbe luogo nel 1819 a Manchester, in St. Peter’s Field (da qui il nome dato all’evento dagli storici, per assonanza con la recente disfatta napoleonica di Waterloo). Peterloo ha al suo attivo una confezione impeccabile, una ricostruzione precisa dei luoghi e del contesto politico, oltre a una grande cura fotografica e a prestazioni attoriali perfette. C’è da dire però che, per quanto esteticamente curato, il film è apparso troppo verboso e didattico, viziato da un’enfasi eccessiva che frena la completa adesione. What You Gonna Do When The World’s On Fire?, secondo dei tre italiani in Concorso, è un documentario che affronta le radici delle disuguaglianze sociali negli Stati Uniti d’America attraverso la descrizione della condizione degli afroamericani. Il film è stato girato a New Orleans in una zona off-limits per i più, e offre l’occasione alle persone di colore di raccontare a voce alta le proprie storie mettendo lo spettatore di fronte al razzismo endemico di una nazione. Purtroppo il film, per quanto interessante, accumula una serie di sequenze in cui le persone vengono pedinate durante alcuni momenti della loro quotidianità (forse troppi), ma il contesto politico è descritto in maniera troppo parziale e superficiale (a differenza di quello che era riuscito a fare, ad esempio, Frederick Wiseman con il suo splendido In Jackson Heights) e si esce dalla sala con la sensazione di avere assistito ad un resoconto di cose già tristemente note.
Ieri sono stati inoltre presentati alla stampa i primi due episodi della serie TV L’amica geniale di Saverio Costanzo, le cui otto puntate verranno trasmesse su Rai Uno a partire dal prossimo 30 ottobre. Tratta dalla splendida tetralogia di Elena Ferrante (oltre a L’amica geniale, il progetto comprende anche la realizzazione degli altri tre romanzi: Storia del nuovo cognome, Storia di chi fugge e di chi resta, Storia della bambina perduta) L’amica geniale è una grossa produzione targata Rai HBO, un progetto di amplissimo respiro: 150 attori e 5000 comparse in scena, attori professionisti e non professionisti, bambini e ragazzi reclutati nelle scuole di tutti i quartieri. Imponente appare il lavoro di ricostruzione del Rione, il set principale della serie: la troupe tecnica, composta da 150 persone, ha creato 20 mila metri quadrati di set costruiti in oltre 100 giorni di lavorazione. Sono state costruite inoltre 14 palazzine, 5 set di interni, una chiesa e un tunnel. L’amica geniale è la storia della lunga amicizia tra Elena Greco e Raffaella Cerullo, detta Lila, nata sui banchi di scuola alla fine degli anni ’50.
Ambientato in una Napoli pericolosa e affascinante, il racconto copre oltre sessant’anni di vita. In attesa di dare un giudizio più oggettivo, che sarà possibile solo al termine delle otto puntate, l’impressione è che il regista si sia messo completamente al servizio della storia, trasponendo in immagini i momenti salienti del romanzo, addirittura riportandone alcuni stralci, letti dalla voce recitante di Alba Rohrwacher, compagna del regista. Sembra quindi che bisognerà aspettarsi un’estrema fedeltà non solo allo spirito ma anche alla lettera del testo, cosa che potrà forse rendere felici i numerosi fan della scrittrice (tra i quali si colloca anche chi scrive). Tuttavia, il rischio è quello che l’eccessiva adesione al testo, forse dovuta a precise richieste dell’autrice, possa trasformarsi in sudditanza di un mezzo espressivo rispetto all’altro: l’auspicio è quindi che la regia di Costanzo non si limiti ad una sorta di “illustrazione” della vicenda ma sia capace di inserire in essa i tratti peculiari del mezzo utilizzato. Infatti, a parte qualche sprazzo, in queste prime due puntate la maggior parte del lavoro del regista sembra poggiare sulla direzione degli interpreti, tutti molto bravi, a cominciare dalle due straordinarie giovani protagoniste, scelte dopo un casting durato otto mesi, durante i quali sono stati provinati oltre 8000 bambini. In ogni caso, va senz’altro salutata con giubilo la notizia che la cosiddetta rete ammiraglia trasmetterà un prodotto che si presenta con un forte marchio di qualità dando una sferzata ad un palinsesto di fiction TV il cui obiettivo non dichiarato sembra essere da anni la lobotomizzazione del pubblico, considerato più o meno come una massa informe incapace di intendere e di volere. Sempre sugli attori, tristi circostanze ci portano a citare almeno il nome di Antonio Pennarella, straordinaria figura di caratterista che ha lavorato, tra gli altri, con Giuseppe Gaudino, Mario Martone, Antonio Capuano, i Manetti bros., Edoardo Winspeare. Antonio è scomparso lo scorso 24 agosto: per questa ragione, L’amica geniale è probabilmente l’ultimo progetto cui ha partecipato: interpreta il ruolo dello strozzino, l'”orco” Achille Carracci, personaggio la cui sorte i lettori del libro ben conoscono…
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