Venezia 75 giorno 7, “Vox Lux” di Brady Corbet: il terrorismo è pop
Nel 1999 la giovane Celeste sopravvive a un massacro perpetrato nella sua classe da un compagno di scuola. Durante il funerale, la ragazza intona una canzone che la trasforma improvvisamente in una popstar, grazie all’aiuto della sorella maggiore e di un giovane e rampante manager. Diventata una vera e propria icona, una stella adorata da stuoli di adolescenti, Celeste ha ormai definitivamente perduto la sua innocenza. Nel 2017, ormai trentunenne, la donna torna alla ribalta dopo che uno scandaloso incidente ha deragliato la sua carriera. Celeste intraprende un tour per presentare il suo nuovo album, intitolato “Vox Lux”, un compendio di pezzi da eseguire sul palco con coreografie ispirate alla fantascienza. Nel frattempo, l’artista deve fronteggiare dissidi familiari con sua figlia e sua sorella in un’epoca ormai scandita dal terrorismo globale.
Accolto con freddezza alla prima proiezione stampa della mattina, Vox Lux è il secondo lungometraggio, tutt’altro che privo di interesse, dell’attore Brady Corbet, interprete di molte serie televisive ma anche, tra gli altri, dello splendido Melancholia di Lars von Trier. L’operazione compiuta dal giovane regista statunitense segue, a conti fatti, la scia del suo film d’esordio, vincitore proprio qui a Venezia della sezione “Orizzonti” nel 2015. Ambientato in Europa nella prima parte del XX secolo, L’infanzia di un capo esaminava alcuni eventi-chiave che avrebbero dato vita negli anni ’20 e ’30 ai totalitarismi che avrebbero insanguinato il Vecchio Continente. Testimone delle atrocità di un’epoca, il giovane protagonista sarebbe diventato a sua volta carnefice e responsabile di ulteriori terribili carneficine. Vox Lux sembra seguire la medesima traccia ma si sposta al capolinea del cosiddetto “secolo breve” e trasferisce l’azione negli Stati Uniti, alla vigilia di episodi tragicamente celebri come il massacro alla Columbine High School del 20 aprile 1999 e l’attentato alle Torri Gemelle, vero e proprio punto di svolta della Storia del XXI secolo.
Diviso in due atti, il film copre un periodo di diciotto anni, proiettandosi quindi direttamente nella contemporaneità. L’intuizione di partenza della sceneggiatura, opera dello stesso regista, è di grande intelligenza: Vox Lux mette in relazione due mondi apparentemente lontani, quelli del terrorismo internazionale e dello show-business, dimostrando come nel passaggio dal post-moderno degli ultimi momenti del XX secolo ad una sorta di “post-tutto” dell’èra contemporanea questi due fenomeni abbiano finito per mescolarsi e addirittura influenzarsi l’uno con l’altro. Infatti, in una società ansiosa di fagocitare e digerire qualsiasi cosa, compreso il Male assoluto che la permea e la intride, il primo diventa l’humus per la nascita e lo sviluppo del secondo mentre il terrorismo finisce per emulare i travestimenti dell’odierna società dello spettacolo (che ormai ha trovato un nuovo potente mezzo di propaganda nella Rete) in modo da presentarsi, a sua volta, come una sorta di fenomeno pop, qualcosa che ha ormai invaso il quotidiano e con il quale è obbligatorio fare i conti.
Partendo da questo indubitale assunto, Corbet confeziona un’ottima prima parte (l’Atto I) che segue l’ascesa di Celeste, cui presta il corpo e la voce Raffey Cassidy, brava attrice emergente vista recentemente in Allied di Robert Zemeckis e ne Il sacrificio del cervo sacro di Yorgos Lanthimos. La seconda parte del film, attraverso una brusca prolessi, trasporta lo spettatore sedici anni dopo: Celeste è ormai ricca e famosa, ha una figlia, Albertine (intrerpretata dalla stessa Cassidy), e ha ormai perduto l’innocenza degli anni della tragedia, dei quali conserva solo la fragilità emotiva e alcune conseguenze fisiche. A questo punto, il film sembra poggiare quasi esclusivamente sulle spalle di Natalie Portman, che offre una performance notevole, pur con qualche momento in cui rischia di sbandare nell’overacting, e tutti gli eventi salienti del film vengono lasciati fuori campo così che lo spettatore può apprenderli e ricostruirlo solo attraverso i dialoghi dei personaggi. Lasciata forse un po’ troppo a briglia sciolta, la Portman regala alcuni momenti molto riusciti (tra cui il potente finale) ma l’impressione è che il regista abbia come unica preoccupazione quella di enunciare la sua tesi e finisce per tralasciare quasi completamente la narrazione: in particolare, desta molta perplessità il modo in cui viene disegnato il rapporto tra Celeste e sua figlia, che trova il suo apice nella sequenza dai toni sovreccitati ambientata in un bar e che rappresenta uno dei momenti più opachi e meno riusciti del film, così come appare discutibile la scelta di sorvolare sull’episodio dell’incidente d’auto causato dalla star. Poco comprensibile, e soprattutto poco efficace, appare inoltre la scelta di ambientare il secondo massacro del film su una spiaggia della Croazia, Paese che, per quanto minato da un nazionalismo feroce e pericoloso, non è mai stato sino a questo momento teatro di eventi riconducibili al terrorismo.
Un peccato perché, sebbene imperfetto, Vox Lux resta comunque una delle opere più originali passate finora in un Concorso tutt’altro che memorabile, e spinge comunque a guardare con interesse l’evoluzione della carriera del suo autore che si sta dimostrando particolarmente abile nell’indagare il male del tempo (di ogni tempo) e le conseguenze del contesto storico e del microcosmo di appartenenza sulla decadenza dei costumi della società e lo scivolamento negli abissi da parte della coscienza umana.
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