Fotografia – Intervista a Carmen Sigillo, autrice di ‘Born in Italy’: “Un progetto dedicato agli immigrati di seconda generazione. Quelli nati in Italia.”
di Alessandro Nermetti
Carmen Sigillo nasce a Napoli nel 1978. Dopo il liceo, intraprende gli studi giuridici, laureandosi in giurisprudenza ed esercitando la professione di avvocato per dieci anni. A dodici anni Carmen scova tra gli oggetti del padre una macchina analogica. Da quel momento inizia il suo avvicinamento alla fotografia. Una propensione “a intermittenza”, costretta ad adeguarsi ai tempi e alle esigenze dello studio, fino a quando Carmen decide di acquistare una macchina propria e di far diventare quella fotografica un’attività fondamentale. Carmen Sigillo ha pubblicato per repubblica.it e per ocanerarock.com. Ha conseguito dei master e svolto dei workshop con Boogie, Francesco Cito e Mario Spada. Carmen è anche autrice del progetto Born in Italy – La fotografia come manifesto di un nuovo Umanesimo.
Ho seguito la nascita e l’evolversi di questo progetto fotografico, a distanza (ahimè!), ma in questo caso l’iperconnessione digitale è stata una freccia in più al mio arco. Nell’era in cui i selfie superano quota 90 milioni al giorno, riuscire a tenere lucida e concreta l’attenzione sul compito primario della fotografia è cosa assai difficile. Questo compito è raccontare storie. Se queste storie vengono raccontate, accolte e raccolte in quel calderone di passioni e tarantelle quotidiane (intelligenti pauca) che è Napoli, Terra mia, Terra nostra, allora non posso esimermi dal raccontarle. Carmen, cos’è, come e perché nasce Born in Italy (da ora in avanti B.i.I.)?
B.i.I. è innanzitutto un progetto fotografico. Nasce ad ottobre del 2017, quando appresi che una comunità di ragazzini di Castel Volturno, tutti figli di immigrati, organizzati in una squadra di basket, avevano ricevuto divieto per l’iscrizione ai campionati. Questo perché in Italia, non essendoci lo Ius soli, i ragazzi non possedevano la cittadinanza italiana. Il regolamento CONI e il regolamento FIP prevedevano l’iscrizione ai campionati solamente alle squadre con un numero di massimo due stranieri per rosa. Castel Volturno è un territorio dove oltre il 40% della popolazione è composta da immigrati; ci sono quindi immigrati di seconda generazione, che sono appunto tutti nati in Italia, di questi, la quasi maggioranza nati proprio a Castel Volturno o comunque nell’area casertana. La loro squadra è interamente di “colore nero”, composta totalmente da immigrati. La TAM TAM Basketball è stata messa su dal Coach Massimo Antonelli, storico campione della Virtus Bologna, che ha concluso la sua attività a Napoli e che a Napoli è rimasto per un’Opera di volontariato sportivo.
Quando mi recai sul campo per la prima volta, la mobilitazione mediatica era già massiccia. Mobilitazione mediatica che rese possibile il passo avanti di Michele Anzaldi deputato del PD e dell’ex ministro dello sport Luca Lotti, i quali si fecero portavoce e promotori dell’emendamento pro Tam Tam. Emendamento che rientrò nella legge di bilancio del governo Gentiloni, grazie al quale i ragazzi poterono iscriversi e partecipare al campionato. È stato un emendamento prettamente per loro, quasi ad personam, che ha portato però alla vera e propria rivoluzione: da settembre 2018, infatti, cinquecentomila ragazzini, figli di immigrati, potranno iscriversi ai vari campionati e giocare. Mi accorsi però che io non volevo limitare la mia visita a quei pochi scatti sul campo, che divennero poi un servizio per La Repubblica.
Quando hai iniziato a seguirli?
Cominciai a seguirli per due o tre volte a settimana, tra trasferte ed allenamenti. Il vero progetto nacque nello spogliatoio, dove un giorno mi feci trovare. Perché è negli spogliatoi che i ragazzi sono realmente loro stessi, senza filtri. In quel periodo erano un po’ bombardati dai media, quindi sul campo non riuscivo a trovare quel feeling che avrebbe consentito il vero racconto fotografico. Ho dovuto quindi attendere che scemasse questa attenzione mediatica. Il nostro rapporto si intensificò soprattutto durante il periodo natalizio, perché loro erano liberi dalla scuola. Iniziai a conoscere le loro famiglie, lì prese realmente vita B.i.I. Io volevo sì raccontare questi ragazzi, questo gruppo, la loro vittoria sociale e sportiva, ma anche la loro realtà quotidiana fuori dal campo. Chi sono questi ragazzi, cosa fanno, come trascorrono le loro giornate. E soprattutto dimostrare che sono realmente “Born in Italy”. Cominciarono le domeniche con le loro famiglie nelle loro chiese, la condivisione del cibo africano, le giornate interminabili, le feste di compleanno, venendo a conoscenza di una comunità e di una realtà coinvolgenti ed ospitali, nonostante la poca e non edificante complicità di cui godono sul territorio. Questa è la storia di come è nata, ma in realtà non è mai finita, perché continuo a passare le giornate con loro, al di là della fotografia. Sono ragazzi che subiscono l’emarginazione. Non è affatto vero che sono perfettamente integrati. Alcuni di loro vivono una situazione di povertà veramente forte. La discriminazione è un dato di fatto e in questo momento storico, purtroppo, è anche maggiore. Nonostante ciò, riescono a darsi, a concedersi, a donarsi con tutte le loro forze, non solo alla pallacanestro, ma in tutto ciò che fanno. Fotografia compresa. Tanto che a un certo punto io ero totalmente inclusa nella scena, nella situazione. Io al momento mi sento parte del loro gruppo e loro mi vedono come una di loro.
Letizia Battaglia, in un’intervista divenuta storica, consiglia a chi intende diventare fotografo di trovarsi un altro lavoro. A quanto pare tu hai seguito alla lettera il consiglio. È un caso che proprio un’avvocatessa abbia dato vita a B.i.I.?
Il mio lato giuridico mi ha avvicinata sicuramente al tema e quindi al progetto. Lessi della battaglia legislativa di cui i ragazzi si stavano facendo portatori, quindi probabilmente sì, l’attenzione e la sensibilità erano già condotte verso questo tema. Non ti so dire se per fare fotografia bisogna trovarsi un altro lavoro. Io sono un caso particolare, nasco avvocato, ma smetto proprio per dedicarmi alla fotografia e decido di preparare un concorso pubblico. Concorso pubblico che vinco, quindi da aprile di quest’anno decido di passare dall’altra parte della barricata e, sempre lavorando al tribunale di Napoli, divento cancelliera. Questo tipo di scelta mi ha donato maggiore tempo da dedicare alla fotografia. Mi ritrovo in quello che afferma Letizia Battaglia, a malincuore, perché per il tipo di fotografia che realizzo, il reportage, le ore sono sempre troppo poche, e lo erano ancora meno svolgendo una libera professione come quella dell’avvocato. Devo cercare storie che riesco a seguire nel mio tempo libero e a volte fuggirei dal tribunale per andare a scattare.
Tra chi ti ha spinto e sostenuto ci sono due Maestri della Fotografia: Francesco Cito e Mario Spada. Rispettivamente ti hanno consigliato: “Non bisogna andare molto lontano per trovare storie buone” e “Devi stare dentro la storia che vuoi raccontare”. Sei arrivata a Castel Volturno ed hai trovato una “carovana d’amore”. È giusto?
Giustissimo. In realtà io penso dipenda anche da una forma caratteriale di base. Sono una persona emotiva e passionale, quindi non riesco a rapportarmi in maniera distaccata. Altri sono dell’opinione che il fotografo deve osservare con distacco perché non è parte della storia. Io non condivido questa posizione. Dipende molto anche dal rapporto che si instaura con i soggetti che fotografi. A scattare con distacco non ci sarei riuscita, non solo per la mia base caratteriale, ma perché loro sono realmente coinvolgenti, sono un’energia. Diversamente sarebbe stato impossibile. Vengo da un anno particolarmente complicato, da un cambiamento di vita che mi ha creato qualche scompiglio interiore. Basti pensare al cambiamento professionale. Eppure, loro mi hanno ripagata di tutto. Sia fotograficamente che umanamente, ho investito benissimo il mio tempo.
B.i.I. ha ottenuto il sostegno di un’enormità di volti noti: Sandro Ruotolo, Marek Hamšik, che a Castel Volturno ha deciso di viverci, Linton Johnson III, Matteo Garrone, Enzo Avitabile, che ha donato un suo brano per il teaser di presentazione della mostra. Ne hanno raccontato giornali e telegiornali. Moltissimi sono anche i non-VIP che ogni giorno esibiscono volontariamente una loro fotografia con gli hashtag #iosonoborninitaly e #borninitaly. Dove deve e vuole arrivare B.i.I. visto il clima di ingiustizia sociale e vessazione anti-immigrati che viviamo oggi in questo paese?
Come ti dicevo prima, B.i.I. nasce come un progetto fotografico. Progetto fotografico che poi, ad un certo punto, ha acquistato una maggiore valenza. Io non ne faccio un discorso politico perché non spetta al fotografo, non è il ruolo del fotografo. Sicuramente, come tu hai detto, la fotografia può contribuire a sensibilizzare le coscienze. Ricordo ad esempio il lavoro di Berengo Gardin riguardo la reclusione manicomiale e la successiva chiusura dei manicomi.
Di Berengo Gardin, più recente, ricordiamo anche il lavoro riguardo le grandi navi a Venezia.
Esatto. Ritengo che la fotografia di reportage abbia sì un ruolo importante per il racconto e la sensibilizzazione, ma da sola non basta. La semplicità di questi scatti, la forza di questi ragazzi, ha fatto sì che queste persone, famose e non (perché questa campagna anti-immigrati trova opposizione e resistenza in molte persone non famose che non accettano questo clima) ci mettessero la faccia. Ripeto, non è un manifesto politico. È il manifesto di una privata cittadina, che con altrettanti privati cittadini, arrivati a mille fotografie raccolte, si uniranno agli organismi costituzionali. Quantomeno per dimostrare che esiste una parte di italiani che non condivide determinate linee politiche e che chiede non lo Ius soli, quello è un passo che dovrebbero fare i legislatori, ma pari opportunità e pari dignità a tutti i bambini nati in Italia e che in Italia si stanno formando. Perché quello che è accaduto alla Tam Tam nell’ambito sportivo, può accadere domani a chiunque altro, per qualsiasi altro settore. Quindi è un’progetto che tende ad impedire un’altra situazione di spiacevole emarginazione. Ringrazio tutti. Su Linton Johnson III però, voglio spendere due parole, perché lui ha avuto lo stesso problema dei ragazzi della Tam Tam. Lui ha avuto dei vincoli simili, ha avuto delle limitazioni nonostante sia una campione del suo calibro.
Hai affermato che B.i.I. non è un manifesto politico. Ma in fondo è il manifesto di un nuovo Umanesimo.
Sì. Mi piace questa definizione. Io ho volto mettere un limite simbolico di 1000 fotografie, 1000 partecipanti, ma penso siano molti di più gli italiani che sostengono la battaglia di questi ragazzi. Per conoscere effettivamente questi ragazzi, questa comunità, bisogna viverli dall’interno e così che è nato il manifesto. Mi piace la definizione che hai dato, il Manifesto di un nuovo Umanesimo. Noi chiediamo solamente pari dignità.
Hai seguito questi ragazzi agli allenamenti, durante le loro uscite di comitiva, hai vissuto i loro primi amori, hai respirato l’intimità degli spogliatoi, hai conosciuto le loro famiglie. Hai colmato la tua “aridità affettiva”?
(Ride). Anche nell’intimità delle prime effusioni, ed è stato terribile. Sì. Più che aridità affettiva, la mia è una fame atavica. Sono una persona che si dona tanto, quindi vado spesso in riserva. Ciò non è sempre corrisposto, forse quasi mai. Loro hanno decisamente contribuito a rendere migliore il mio anno, e non solo. Mi hanno sfamata. Un rapporto che dura ancora e non si è fermato alla fotografia. Io ho promesso a questi ragazzi di portare B.i.I. e la loro storia, aldilà del territorio campano e, forse, anche aldilà del territorio nazionale. Inoltre B.i.I. diventerà un progetto editoriale, un libro fotografico che uscirà nel 2019, che spero possa far conoscere, appunto, la nostra storia anche altrove.
In un contesto come Castel Volturno, dove le possibilità di aggregazione sociale sono pari a zero, dove istituzioni, CONI, FIP, hanno taciuto, la figura di Massimo Antonelli è risultata essere un avamposto di legalità e speranza. Ce lo racconti?
Massimo Antonelli svolge un ottimo lavoro con questi ragazzi. Il merito che gli va riconosciuto è quello di portare avanti una funzione realmente sociale. Aldilà della pallacanestro, aldilà dello sport, questi ragazzi si avvicinano al campo perché è totalmente gratuito. Sappiamo benissimo che la probabilità che questi ragazzi diventino dei campioni di basket non è alta. Io mi auguro che lo diventino tutti, ma l’opera di Antonelli va osservata da un altro punto di vista. Ovvero, togliere questi ragazzi dalla strada. Non una strada come le altre, Castel Volturno è una realtà difficile, per i bianchi, per i neri, per tutti. Il problema è che questi ragazzi, dopo la scuola, a differenza di un coetaneo benestante che può permettersi qualunque attività extrascolastica, prima del basket, prima di Mister Antonelli, non avevano orizzonti. Con questi presupposti era quasi sicuro che si perdessero sulla Domitiana (strada campana che collega Mondragone a Napoli nord. Ndr) come gran parte dei loro coetanei. Era molto alto il rischi di perderli. Tenerli quindi legati alle regole ed alla disciplina di uno sport è stato un contributo gigantesco sia sociale che umano.
Rivista Milena ringrazia Carmen Sigillo per l’intervista.
Immagini per gentile concessione di Carmen Sigillo