“Au hasard Balthazar”: all’Asilo Filangieri di Napoli continua il ciclo su Robert Bresson
Immagini. Come le modulazioni in musica.
Robert Bresson
Giovedì 7 marzo alle 20,00 all’ex Asilo Filangieri di Napoli in vico Maffei, 4 (a due passi dalla celebre via san Gregorio Armeno), riprende la retrospettiva completa dedicata al grande cineasta francese Robert Bresson, uno dei massimi registi del XX secolo, rassegna che si intitola “L’invenzione del silenzio”, mutuando una celebre citazione del maestro tratta dalle sue “Note sul cinematografo” e che recita: “Il cinema sonoro ha inventato il silenzio”.
Au hasard Balthazar è il primo dei sette titoli in programma per questo secondo e ultimo ciclo (qui il programma completo: http://www.exasilofilangieri.it/linvenzione-del-silenzio-il-cinema-di-robert-bresson-ii-ciclo/), un’opera capitale non solo nell’itinerario di Bresson ma per l’intera storia del cinema. Jean-Luc Godard, parlando a proposito di questo film, la definì un’opera di arrivo “totale”, quella in cui lo stile di Bresson comincia ad essere ormai inconfondibile. Il regista di Bromont-Lamothe pensava da molti anni a una storia che vedesse protagonista un asino, e la cui narrazione si ponesse come un racconto dai toni biblici. Attento conoscitore delle Sacre Scritture, Bresson affermò di aver tratto ispirazione, tra le varie cose, dall’episodio del libro dei Numeri che vede protagonista l’asina parlante di Balaam che salva il suo padrone dalla maledizione di un angelo che sta per colpirlo, così come alcune influenze vengono al regista dall’antica Festa dei Pazzi, che si celebrava durante il Medioevo e in cui un asino veniva trasportato sull’altare durante il rito della Messa.
Fin dal suo concepimento, dunque, Au hasard Balthazar si pone come un’operazione rischiosissima: provare a raccontare il Male del mondo attraverso le vicende e il punto di vista di un animale, condannato a passare di mano in mano, di padrone in padrone, dopo essere stato sottratto alla prima padrona, la giovane e tormentata Marie, l’eroina sempre sul punto di perdersi e che, in un certo senso, è l’unica a condividere la sorte dell’animale (interpretata dall’esordiente Anne Wiazemsky). In questo film, Bresson fa marciare sotto braccio la realtà e l’astrazione, la concretezza e l’evanescenza: i personaggi, per quanto spesso lacerati e portatori in apparenza di una propria visione del mondo che precede le loro azioni, per quanto perfettamente “pieni” e delineati, assumono una forte connotazione simbolica, rivelandosi come segni, emblemi, rappresentazioni dei vizi capitali di un’umanità malata che si agita in un mondo dal quale sembra essere sparita qualsiasi possibilità di riscatto.
Mentre nel finale del Diario di un curato di campagna il protagonista riusciva, all’ultimo istante, con un sorprendente detour, ad afferrare la consapevolezza che “tutto è grazia”, alle anime purgatoriali di Au hasard Balthazar restano come uniche opzioni la morte o la fuga. La figura di Balthazar, con il suo corpo sottoposto alle fatiche e ai colpi inferti da un’umanità ferina, sembra portare su di sé tutto il male del mondo, in una metafora cristologica palese e potente, tutta costruita sull’ineluttabilità del sacrificio e sull’inevitabilità della sofferenza. Infatti, il film appare impregnato di quella cultura giansenista che è uno dei segni più riconoscibili della visione del mondo bressoniana, che ritiene che la vita sia regolata dalla predestinazione, senza alcuno spazio per il libero arbitrio.
Dal punto di vista estetico e formale, Au hasard Balthazar è un’opera cristallina, che si offre allo sguardo dello spettatore per purificarlo, per depurarne le scorie, mostrandogli un universo spoglio e austero, dove ogni gesto, ogni sguardo, è un modo per provare a ridisegnare la geografia di uno spazio imploso, per provare a tracciare una nuova topografia per un mondo che ha smarrito tutte le coordinate, per “ritoccare il reale con il reale”. Una pietra miliare, una data nella storia del cinema.
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