Memorie d’una ragazza perbene: dell’inquietudine, l’altra Simone
di Claudia Malafronte
Prima dei caffè e della rive gauche, di Sartre e del secondo sesso, c’era l’inquietudine. È questo il nervo scoperto, il filo elettrico sottile, che collega e accende le Memorie di una ragazza perbene, primo tassello di un’autobiografia anomala e straniata, firmata da una donna in rivolta: Simone de Beauvoir. Lasciate da parte la Simone che conoscete, quella che vi hanno raccontato gli altri. Adesso è lei che parla. Dimenticate gli amori non convenzionali, l’impegno politico, il femminismo, una vita contro. Tutto questo verrà dopo, molto dopo. Dietro a questa Simone ce n’è un’altra, nascosta in un piccolo appartamento di rue de Rennes, costretta a vivere un’esistenza doppia, divisa tra l’immaginario e il reale. Simone prima è una bambina e poi un’adolescente tormentata: la famiglia, distante e oppressiva, un amore mancato e un’amica che la tradisce e si suicida. Una perdita, quella dell’adorata Zazà, che non perdonerà mai a se stessa, in una sorta di rito di passaggio doloroso e inevitabile verso l’età adulta: “Insieme avevamo lottato contro il destino melmoso che ci aspettava al varco, e per molto tempo ho pensato che ho pagato la mia libertà con la sua morte”.
Ma è una bambina e un’adolescente che non si arrende, Simone. Insofferente al mondo borghese, non adegua il perimetro dei suoi pensieri a quei confini asfittici e meschini, ma li dilata con una volontà dura e appassionata, radicale, fino all’ostinazione. Nessuna mediazione o compromesso sono possibili: “Spingendo le mie repulsioni fino al vomito, i miei desideri fino all’ossessione, un abisso separava le cose che mi piacevano da quelle che non mi piacevano. Non potevo accettare con indifferenza la caduta che mi precipitava dalla pienezza al vuoto, dalla beatitudine all’orrore (…) Non volevo saperne di cedere alla forza impalpabile che sono le parole; il fatto che una frase buttata negligentemente «bisogna…non si deve» rovinasse in un momento le mie gioie, le mie imprese, mi rivoltava”.
La posta in palio, per Simone, è troppo alta: conoscere ed esprimere se stessa, trovare aria e spazio propri in un mondo che tentava in tutti i modi di ridurla al silenzio e all’obbedienza. Così l’ostinazione diventa difesa, la parola l’unica arma possibile. Una parola che è necessario rifondare per sottrarsi all’oppressione del linguaggio, che chiude mondi e appiattisce personalità e sentimenti: “Appena aprivo bocca, mi scoprivo, di nuovo venivo chiusa in un mondo per evadere dal quale m’erano occorsi anni, un mondo in cui ogni cosa ha inequivocabilmente il suo nome, il suo posto, la sua funzione, in cui l’amore e l’odio, il male e il bene sono altrettanto netti quanto il nero e il bianco, dove tutto è classificato, catalogato, conosciuto in anticipo, compreso e irrimediabilmente giudicato, quel mondo fornito di taglienti tenaglie, bagnato d’una luce implacabile, che non è mai sfiorato dall’ombra di un dubbio”.
Per questo Simone sente che staccarsi da quel mondo significa abbandonare le sue parole, i suoi significati, in una ricerca tormentata e intima che la condurrà a trovare la propria “voce”: “Non volevo parlare con quella voce astratta che, quando la udivo, non mi toccava. Sognavo di scrivere un «romanzo di vita interiore», di comunicare la mia esperienza”. Di qui la scelta di scrivere e di descrivere la propria vita in prima persona, con le sue parole, lasciandoci entrare dalla porta dell’inquietudine per affacciarci su una Simone bambina e adolescente sempre più separata dalla morale borghese e dai suoi dettami, sempre più vicina a se stessa e all’esistenza che decide di condurre. Così Simone si presenta a noi in maniera indiretta, sorvegliando il suo linguaggio, raccontandosi attraverso i libri che ha letto, le battaglie che ha combattuto, gli amori che non ha avuto e le amicizie che ha perso. Se ne Il secondo sesso Simone descrive la condizione femminile e ne teorizza l’emancipazione con lo stile e il rigore di un saggio, nelle Memorie ne svela la dimensione privata e sofferta, dichiarando la necessità di una scelta che è esistenziale prima che filosofica, personale prima che pubblica.
Simone ci rivela l’angoscia e il tormento di una ragazza femminista prima del femminismo, ribelle contro la dittatura della società e della natura che la volevano moglie, madre, puttana, estranea alla sua stessa famiglia e alienata dalla cerchia sociale. Anche nell’esilio dei primi anni di vita Simone sente di avere delle anime “sorelle”: “I libri che amavo divennero una Bibbia dove attingevo consigli e soccorsi (…) le parole e le cadenze, i versi e i versetti non mi servivano per fingere: ma salvavano dal silenzio tutte quelle avventure intime di cui non potevo parlare con nessuno; tra me e le mie anime sorelle che esistevano in qualche posto, fuor di portata, essi (i libri, ndr) creavano una sorta di comunione; invece di vivere la mia piccola storia particolare partecipavo a una grande epopea spirituale”.
Quando legge Piccole Donne di Louisa May Alcott, Simone scrive: “in questo libro credetti di riconoscere il mio volto e il mio destino”. Leggendo le Memorie di una ragazza perbene si ha la sensazione di riconoscere in Simone, nella sua resistenza attiva, un’anima sorella, un cammino parallelo, per quanto distante, in cui ciascuna donna si può ritrovare. Ogni volta che dice no a un percorso prestabilito, ogni volta che lotta, persino quando sta per cedere, si vede in quella donna un’altra Simone. Perché Simone non vuole fondare un credo né per esso diffondere una chiamata alle armi. E’ solo una voce al di là delle tenebre, a testimonianza che un’altra vita è possibile, che anche percorsi sconosciuti e impensati possono essere battuti per creare mondi nuovi. Mondi in cui l’inquietudine è un’opportunità, uno spiraglio laddove tutto è definito, un senso di insoddisfazione e un istinto di ribellione indispensabili per ricercare le parole e la voce che sono soltanto proprie.
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