“Grazie a Dio” di François Ozon, parola degli uomini
Alexandre vive a Lione con moglie e figli. Un giorno, per caso, scopre che il prete dal quale era stato molestato da piccolo lavora ancora a contatto con i bambini. Decide così di agire, supportato da altre due vittime di Padre Preynat, François e Emmanuel. I tre uomini uniscono le forze per abbattere il muro di silenzio che circonda il loro dramma. Nessuno di loro sarà però indenne da ripercussioni e conseguenze [sinossi].
“La parole libérée”, la Parola liberata: è questo il nome dell’associazione e del sito internet fondati dalle vittime degli abusi sessuali da parte di Preynat, complice il silenzio delle gerarchie ecclesiastiche nella persona del cardinale Barbarin, recentemente condannato a sei mesi. Il caso Preynat-Barbarin è ancora in corso e, nonostante il sacerdote sia stato ridotto allo stato laicale, le vittime aspettano ancora una sentenza definitiva dei giudici transalpini che possa essere un risarcimento almeno parziale per le violenze subite e, soprattutto, serva a evitare che casi del genere possano ripetersi in futuro. La vicenda ha molto scosso la Francia cattolica, soprattutto di Lione, luogo dove sono avvenuti i fatti, città- simbolo della cristianità, legata a una tradizione molto conservatrice della Chiesa.
La parola liberata, si diceva. Ed è proprio la parola la grande protagonista di Grazie a Dio (Orso d’argento al Festival di Berlino e designato “Film della Critica” dal Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani), diciottesimo lungometraggio, e uno dei migliori, del discontinuo Ozon. Il regista parigino, autore anche dell’ottima sceneggiatura, voleva inizialmente trarre un documentario da questa brutta storia ma, dietro invito di alcune vittime, ha poi optato per un racconto di finzione, sebbene estremamente scrupoloso e rispettoso dei fatti. Girato nei modi dell’inchiesta giornalistica, il film seleziona e segue da vicino tre vicende avvalendosi di una costruzione progressiva dove le diverse storie si svolgono per successione generando una sorta di staffetta tra Alexandre, François e Emmanuel, tre uomini molto diversi per temperamento, convinzioni personali, ambiente sociale di riferimento.
La descrizione del milieu dei tre protagonisti, che mette l’accento sul rapporto con gli ambienti familiari di provenienza e i rispettivi rapporti con mogli, figli, compagne e con i propri genitori costituisce uno dei maggiori punti di forza del film, rendendolo un’opera corale, estremamente abile e precisa nel descrivere le emozioni trattenute e i sentimenti delle vittime e di coloro cui è toccato in sorte di condividerne le terribili esperienze. L’accento viene posto sul ruolo fondamentale dei genitori e su come le rispettive situazioni familiari determinino storie e destini completamente diversi. Grazie anche all’ottimo contribuito di tutti gli interpreti, viene fuori un quadro emotivamente asciutto ma capace spesso di colpire lo spettatore, di sconvolgere e turbare nonostante la scelta apprezzabile di tenersi sempre un passo indietro rispetto alla tentazione di mostrare l’orrore, limitandosi a evocarlo attraverso il consueto strumento della parola.
Ozon lavora continuamente, e con straordinario equilibrio, sulla duplice dimensione del “dentro” e del “fuori”, vale a dire su ciò che è rimosso e su quanto questo rimosso genera e produce in termini di sofferenza, condivisione, riappropriazione di sé. Solo attraverso questo processo di esternazione del disagio e del patimento è possibile, per le vittime, giungere appunto alla “liberazione”, cioè al salto verso la guarigione grazie a una parola, tutta umana, che sostituisce quella divina nel compito di salvare, guarire, far rinascere a vita nuova, forse un giorno perdonare. Grazie a Dio è dunque un’opera laica e umanissima, sensibile e intelligente, dove non a caso l’unico momento di silenzio riguarda la fede in un Dio al quale forse si è ormai incapaci di credere.
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