“The Irishman” di Martin Scorsese, non chiudete quella porta
Tratto da L’irlandese. Ho ucciso Jimmy Hoffa di Charles Brandt, in libreria per i tipi della Fazi editore, The Irishman è il film che Martin Scorsese e Robert De Niro, anche coproduttore con la sua Tribeca, volevano realizzare da anni, e di cui i due avevano parlato già nei momenti successivi a Casinò, l’ultimo film girato insieme prima che le loro carriere prendessero strade diverse. Ora, grazie al corposo finanziamento di Netflix, che ha consentito di far lievitare il costo della produzione alla cifra di 160 milioni di dollari, l’antico progetto si è trasformato in realtà. The Irishman, nel corso dei suoi 209 minuti, copre un arco temporale che va dal 1949 al 2000, e attraversa alcuni momenti salienti della storia statunitense: l’elezione di John F. Kennedy alla Casa Bianca, la sua infausta impresa militare contro Cuba nella Baia dei Porci, il suo assassinio a Dallas nel 1963, la salita al potere di Richard Nixon, il Watergate. A far da collante a questi avvenimenti, la storia di Jimmy Hoffa (Al Pacino), presidente della Brotherhood of Teamsters, il potentissimo sindacato degli autotrasportatori, e dei suoi rapporti con la mafia, l’amicizia con Frank Sheeran (Robert De Niro), veterano della Seconda guerra mondiale, imbroglione e sicario al soldo del boss Russell Bufalino (Joe Pesci), amico di Angelo Bruno (Harvey Keitel). Gli eventi sono raccontati dal punto di vista di Frank Sheeran, di cui Brandt era avvocato.
Come si può evincere dal cast, ad eccezione di Al Pacino alla sua prima collaborazione con Scorsese, The Irishman ha tutto il sapore della rimpatriata: l’autore di pietre miliari della storia del cinema come Taxi driver, Toro scatenato e Quei bravi ragazzi riunisce tre amici di vecchia data come Keitel, Pesci e De Niro per ricreare insieme a loro alcuni dei luoghi e dei mondi già esplorati nelle opere precedenti: la Little Italy di Mean Streets, il mondo della mafia siculo-americana, descritto con occhio da antropologo in due capolavori del genere gangsteristico come l’inarrivabile Quei bravi ragazzi e lo splendido Casinò. Ma, a dispetto delle inevitabili somiglianze e dei richiami più o meno espliciti, sono le atmosfere e il ritmo del racconto a scavare un solco profondo tra queste opere e The Irishman.
Infatti, per quanto attraversato qua e là da lampi e accelerazioni, l’ultimo film di Scorsese ha il tono e l’andamento del dramma da camera, dove il montaggio frenetico delle opere precedenti lascia il posto a una maggiore presenza del campo/controcampo e a un’abbondanza di dialoghi che scandiscono il tempo della storia e puntano a disegnare con profondità e precisione le psicologie dei personaggi. In questo senso, le recitazioni sotto le righe di un De Niro tornato finalmente agli antichi fasti, e quella di un mefistofelico, monumentale Joe Pesci, in un personaggio quasi faustiano, vincono forse ai punti la sfida con un Al Pacino, anch’egli bravissimo, ma la cui caratterizzazione di Hoffa lo spinge verso un istrionismo che rischia qua e là di scivolare nell’overacting.
Messa tra parentesi la Storia e tenuta un po’ in sordina l’azione tipica del gangster movie, The Irishman si dipana quindi, da un lato, come la storia di una doppia amicizia virile, quella di Sheeran con i suoi padri/padrini putativi Hoffa e Bufalino, dall’altro come l’affresco di un Paese, gli Stati Uniti d’America, dilaniato dal malaffare, dal fenomeno corruttivo e dai rapporti pericolosi tra politica e malavita. Ne viene fuori, soprattutto, nell’ultima parte, un racconto malinconico e funereo, un’opera dichiaratamente testamentaria in cui uno dei più grandi cineasti della storia del cinema si pone di fianco ai suoi attori, ormai ingrigiti (per quanto ringiovaniti con una stupefacente tecnica computerizzata fornita dall’Industrial Light & Magic), ne richiama il percorso artistico e si sporge insieme con loro sull’abisso della vecchiaia e della morte. The Irishman è infatti anche, se non soprattutto, una dolente riflessione sull’amicizia, la lealtà e l’amore e, soprattutto, sull’inesorabile scorrere del tempo.
Per questo, è impossibile non ravvisare le numerose citazioni e autocitazioni contenute all’interno del film, tese a omaggiare le carriere di questi straordinari interpreti: e allora ecco che Sheeran è un reduce di guerra e ha combattuto ad Anzio, come il Jimmy Doyle di New York New York, così come il modo in cui il killer sceglie le pistole messe in fila sul tavolo davanti a lui non possono non richiamare un’analoga sequenza in cui Travis Bickle in Taxi driver fa la stessa cosa. Inoltre, quando Pacino/Hoffa balla con la giovane Peggy Sheeran il pensiero va senz’altro a Scent of a Woman, a tutt’oggi l’unico Oscar vinto dall’attore, mentre il Bufalino di Pesci è un chiaro richiamo ai vari mafiosi italoamericani interpretati dall’attore, tra cui l’indimenticabile Tommy DeVito di Quei bravi ragazzi.
Girato magistralmente, incorniciato da una prima e un’ultima ora magnifiche, The Irishman vanta almeno una mezza dozzina di sequenze memorabili, sebbene non manchi qualche stridore nella sceneggiatura non sempre impeccabile di Steven Zaillian. In particolare, il secondo segmento del film che descrive il rapporto tra Hoffa e Sheeran appare un po’ prolisso e privo di significative variazioni mentre l’interessante subplot che descrive il rapporto intimo e singolare che s’instaura tra Peggy Sheeran, una delle figlie di Frank, e Hoffa viene a un certo punto abbandonato, privando il film di uno spunto che avrebbe potuto fornire esiti interessanti. Del resto, il personaggio di Peggy, interpretato da un’Anna Paquin forse un po’ sprecata, manca di vera consistenza, limitandosi a rappresentare una sorta di simbolico rimprovero, di coscienza infelice per i crimini compiuti dal padre senza arrivare mai a una compiuta caratterizzazione, così depotenziando la descrizione di un aspetto non irrilevante della vita del protagonista.
Tuttavia, nonostante questi limiti, The Irishman, resta un’opera potente e a tratti sublime, da vedere e rivedere, uscendo dalla quale non si può che esclamare estasiati: “Nelle ultime tre ore e mezza sono stato al cinema!”
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