Eros e Pathos 5, nuotare in acque stagnanti
di Eliana Petrizzi
È veramente difficile comprendere per quali vie ciascuno di noi cerchi nelle relazioni una qualche forma di benessere, dovendo però constatare che si trattava forse solo di una forma edulcorata di amore infelicitante. Questa è la storia di un caro amico di studi che riporto perché – devo ammettere per par condicio sia tra miei amici maschi che femmine – ricalca un copione piuttosto diffuso. Chiusa da poco una storia importante, ne ha allacciata una nuova con una donna da lui descritta come estremamente modesta da ogni punto di vista: non particolarmente bella, non affascinante, poca classe, poca cultura, ma “brava donna”: la classica ricetta facile su cui ci si butta quando non si riesce a stare un po’ da soli. Me la mostra in foto: esclusi gli occhi azzurri, in effetti è tutt’altro che avvenente: bassa, tutta seno e pancia, vestita male, espressione da orata al vapore. Insomma, il tipo di donna che negli anni di scuola lui avrebbe prontamente deriso, se vista in strada o in spiaggia.
Il mio amico oggi dice di stare bene, e tuttavia ha pagato a caro prezzo questa serenità a buon mercato: si è impigrito, è ingrassato, dimostra dieci anni in più, ha lasciato abitudini, hobby, amicizie. Ha perso la luce di un tempo, imbrigliato da una rete di abitudini, diversivi noiosi e orari fissi che la compagna, in perfetto stile gas nervino, dolcemente gli ha stretto al collo, soffocandolo senza dolore e separandolo dalla vita di un tempo, che naturalmente ora rimpiange. Lui dice che la sua è una scelta di tranquillità. Eppure, ogni tanto al mio amico (che ovviamente ignora il concetto di fedeltà, come molti altri) manca qualcuna con cui condividere progetti di crescita e ampie vedute, con cui vivere emozioni forti; gli mancano soprattutto certe inquietudini che, se un poco sporcano la serenità in cui lui ha creduto (confuso dalla rima) di trovare la felicità, di certo fanno la vita meno saporita. È purtroppo il prezzo che si paga quando ci si arrende anzi tempo al rigor mortis di una quiete soporifera, rinunciando al coraggio, al confronto, alle difficoltà e a tutti gli imprevisti che passioni forti e venti d’alta quota richiedono per sentirsi vivi. Almeno dopo, amiche e amici, non lamentatevi. Io la mia idea di sempre non la cambio: le relazioni migliori sono quelle che arrivano solo quando prima si è imparato a star bene anche da soli.
Più in generale, è curioso quanto sia variegato l’amore; soprattutto come uomini e donne trovino la felicità per vie del tutto opposte. Recenti statistiche sulla felicità di coppia hanno rilevato che il motivo per cui due persone restano insieme nel tempo sta nel bisogno di essere amati: cioè, mediamente, le persone trovano la felicità più nel ricevere amore che nel donarlo: incontrano una persona che li fa stare bene, a volte per una fortunatissima questione di affinità elettive, altre (la maggioranza) per i voli a bassa quota di cui è fatta la quotidianità. Non hanno bisogno di amare necessariamente a loro volta: si legano appunto perché amati. Nel loro amore ci sono pace, affetto e gratitudine per ciò che ricevono ogni giorno. Tra questi, molti non sono forse neanche capaci di amare: danno il minimo sindacale, cercando per tutta la vita sempre altrove le cose che nessun rapporto al mondo, neanche il più completo alla lunga può dare. A questa categoria appartengono tutti coloro che, come il mio amico di studi, confondono la tranquillità con la felicità, che sono invece spesso due cose del tutto differenti.
Ci sono invece quelli che all’essere amati preferiscono amare, e naturalmente capita che, per una crudele compensazione della vita, difficilmente verranno riamati. Sprecandosi a lungo in relazioni infelicitanti, restano con un filo di sabbia tra le dita, ma sceglieranno ancora e sempre lo slancio del dare a quello del ricevere. Dimenticavo le coppie in cui entrambi amano e sono riamati, in tutte le forme che dell’amore ci hanno offerto nel tempo poemi, romanzi, liriche e opere d’arte. Personalmente ne ho conosciute poche. Nella maggior parte dei casi, confondendo la mano con il guanto, ci si accontenta di amori sgangherati, finendo per credere normale la miseria del sangue cui l’abitudine costringe. Che si esca quanto prima da certi guadi, che fanno solo più povero il nostro sguardo sulla vita.
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