Che fine ha fatto Bernadette?, di Richard Linklater, viaggiare nello spazio

Bernadette Fox (Cate Blanchett), un’architetto spumeggiante con un viso splendido nascosto dietro occhialoni da diva, sparisce all’improvviso poco prima di partire per un viaggio in Antartide con la sua famiglia. Spetterà al marito e alla figlia Bee ricostruire con acume e pazienza la scia di mail, fatture, articoli di giornale e circolari scolastiche che la madre si è lasciata alle spalle, fino a svelare il clamoroso segreto che Bernadette nasconde da vent’anni [sinossi].

Lo spazio. Il vuoto. Uno spazio (architettonico, geografico, interiore) da riempire. Un vuoto da colmare. Oppure da lasciare com’è: vuoto. Senza ragioni apparenti, come fece chi costruì la piramide di Cheope migliaia di anni fa, forse per riservarsi un posto in cui essere irraggiungibili. Sembra ruotare intorno a questo Che fine ha fatto Bernadette?, il nuovo film di Richard Linklater, cineasta che, di opera in opera, si dimostra sempre più prezioso e indispensabile, autore di un cinema capace di rischiare nella sua ricerca di traiettorie inedite, anch’egli probabilmente alla ricerca di un proprio spazio (sì, ancora una volta questa parola), capace di infilarsi tra le maglie sempre più strette d un cinema statunitense sempre più standardizzato. Infatti, se da un lato troviamo nel recente cinema a stelle e strisce la consueta inflazione di blockbuster dall’incasso assicurato, dall’altro lo stesso cinema indie, “alla Sundance”, sembra avere sempre meno linfa vitale, anch’esso inserito entro circuiti fin troppo collaudati, ripiegato su formule altrettanto logore e consunte. Ed è forse questo suo porsi come oggetto inafferrabile la ragione dell’insuccesso di pubblico e della stroncatura del film, pressoché unanime, da parte della critica statunitense.

Tratto dal best-seller di Maria Semple, Che fine ha fatto Bernadette? è il ventesimo lungometraggio di finzione del regista texano, reduce dagli ottimi esiti artistici, ma tutt’altro che positivi al botteghino, del bellissimo Tutti vogliono qualcosa e dello splendido Last Flag Flying (quest’ultimo visibile solo sulla piattaforma Amazon). Ambientata a Seattle, è la storia di una donna geniale e ipersensibile, un’artista straordinaria e anticonformista, che sostiene e propugna un’architettura che sappia coniugare l’uso dello spazio con le moderne idee sulle costruzioni a basso impatto ambientale. Per la ricerca dell’armonia tra genere umano e natura, il pensiero va senz’altro alla Casa Kauffamn, l’abitazione costruita in Pennsylvania da Frank Lloyd Wright, meglio nota come “Casa sulla cascata”, mentre l’impronta ecologista sembra riproporre, in scala ridotta, le teorie dell’arcologia di Paolo Soleri.

Ma Bernadette sembra avere smarrito la sua strada e si trova ora confinata, suo malgrado, in un’esistenza di moglie e madre che le sta sempre più stretta, nonostante lo splendido rapporto con la figlia adolescente Bee, interpretata dalla bravissima esordiente Emma Nelson. Ed è proprio la relazione tra Bee e Bernadette (una Cate Blanchett ancora una volta monumentale) a imporsi con forza sin dall’inizio del racconto, narrato attraverso la voce fuori campo della ragazza che sostituisce nel film le lettere che costituivano invece l’ossatura del romanzo di partenza. Le due donne sono unite da un legame fortissimo, letteralmente viscerale (non a caso il nome “Bee”, nata in seguito a un parto molto complesso, richiama quello della protagonista) la cui descrizione, di grande impatto emotivo, fa risuonare le corde più sensibili dell’animo dello spettatore, come si vede nella splendida sequenza in cui le due donne cantano in auto a squarciagola Time after time, classico degli anni ’80 di Cindy Lauper.

Sì, perché Che fine ha fatto Bernadette? non è soltanto il ritratto mirabile di una donna impegnata a ricostruire la sua esistenza ma è anche un film sulle relazioni umane in un tempo in cui queste sono sempre più oggetto di strane e perverse degenerazioni. Non a caso Elgie, il marito di Bernadette, un guru della Microsoft, sta mettendo a punto un nuovo software sull’intelligenza artificiale che consiste nella creazione di un dispositivo elettronico capace di “leggere” la mente umana mentre Bernadette ha costanti interscambi con Manjula, un’assistente virtuale che l’aiuta a mettere ordine nella sua giornata, ed è al contempo incapace di instaurare rapporti di normale vicinato con la petulante e un po’ infida dirimpettaia Audrey.

Che fine ha fatto Bernadette? è un’opera meravigliosamente sbilanciata ed eccentrica, rischiosa ma non “sbagliata”, esattamente come la sua protagonista e che, proprio come lei, sa farsi amare nonostante alcune innegabili sbavature e imperfezioni, o forse proprio a causa di queste. Infatti, per quanto nella seconda parte la storia incespichi un po’ e proceda in modo non sempre rettilineo, non si può non restare ammirati dalla vitalità e dalla freschezza sprigionate da questo splendido ritratto di donna e di artista. Pur nei suoi detour, il nuovo film di Linklater si rivela una nuova, perfetta radiografia della società statunitense e di un mondo che è – in tutti i sensi – in via di sbriciolamento ma che può trovare un’àncora di salvezza in un’umanità vitale e fuori dagli schemi, capace di riconoscere che lo sviluppo della creatività, la fedeltà a se stessi e la coltivazione degli affetti sono l’unico modo per tornare a casa.

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